Nell'opera è rappresentata una scena di lotta tra un leopardo e un serpente; l'assalto è inserito in un ambiente naturale dalla vegetazione equatoriale, sullo sfondo si staglia un chiaro e sereno cielo azzurro, in aperto contrasto con la violenza della rappresentazione. Databile intorno alla metà degli anni Cinquanta, nel dipinto si nota come la sofferenza ed il disagio provati da Ligabue, da sempre una figura emarginata, incapace d'integrarsi nel tessuto sociale, vengono riversati e manifestati in un'aggressiva scena di violenza visionaria e di combattimento tra belve. Tra la vegetazione caotica, intricata e folta, il pittore inserisce due animali le cui dimensioni occupano gran parte dello spazio della rappresentazione; l'idea della lotta per la sopravvivenza è enfatizzata dall'espressività feroce del leopardo e l'anatomia delle belve, sottolineata da un profilo nero, rende sia la tensione, sia lo spasmo della mortale contesa. L'artista è interessato a raffigurare gli animali feroci poiché adatti a simboleggiare l'insieme di pulsioni primarie che animano gli esseri viventi, inoltre, predilige il tema del combattimento in quanto segno di potenza e forza; egli è solito dipingere l'attimo in cui inizia la spaventosa aggressione, creando uno stridente contrasto tra lo scontro crudele, la natura rigogliosa ed il cielo sereno che svolgono la funzione di sfondo. Ligabue non si avvale di un disegno preliminare, ma segue una sorta di rituale, dando inizio all'opera partendo da un preciso elemento, un modo per entrare emotivamente in contatto con il soggetto, con l'immagine che veniva crescendo dentro di lui. Arrivava ad identificarsi con l'animale che avrebbe dipinto. Dipingeva senza modello, assorbito nella propria visione, nell'esaltazione di un atto più che di un pensiero.