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Lettera di Richard Wagner ad Arrigo Boito in occasione della prima esecuzione italiana del Lohengrin

Richard Wagner (1813-1883)1871-11-07/1871-11-07

Teatro Alla Scala

Teatro Alla Scala
Milan, Italia

  • Titolo: Lettera di Richard Wagner ad Arrigo Boito in occasione della prima esecuzione italiana del Lohengrin
  • Creatore: Richard Wagner (1813-1883)
  • Data di creazione: 1871-11-07/1871-11-07
  • Sede: Biblioteca e archivio del Museo Teatrale alla Scala
  • Trascrizione:
    «Caro amico! Le notizie assai favorevoli che mi giungono da più parti riguardo alla rappresentazione del mio Lohengrin a Bologna suscitano in me un sentimento tanto singolare e riflessivo che mi permetto di rivolgermi a Lei – con cui ho il privilegio di potermi esprimere in tedesco – pregandoLa di trasmettere nella Sua lingua ai Suoi stimati connazionali il mio cordiale ringraziamento. Forse non ho agito male resistendo all’allettamento dei reiterati inviti a prender parte a quella rappresentazione; astendendomi dall’intervenire nella concertazione della mia opera, mi sono posto nella stessa condizione di tutti coloro che vi hanno partecipato, di poter valutare chiaramente la reciproca proporzione tra le forze in gioco in tale impresa promiscua. Desideravo che tutto fosse prodotto dal libero impulso della sensibilità artistica italiana, senza alcun stimolo da parte mia, e mi premeva che il successo fosse interamente attribuito al carattere della concezione della mia opera e all’impegno profuso dai Suoi compatrioti. Solo in tal modo il successo poteva dar prova liberamente della sensibilità artistica italiana. Non Le posso comunque nascondere che decidendo di tenermi in disparte mi sono sottratto a un allettamento invero nobile. In che cosa esso consista Le risulterà chiaro, con Suo stupore, non appena Le avrò riferito le esperienze fatte proprio con il mio Lohengrin in Germania. Deve sapere che quest’opera, per quanti successi abbia riscosso nei teatri tedeschi, non mi ha mai procurato la soddisfazione di poter essere rappresentata correttamente secondo le mie direttive. Le mie proposte di provvedere personalmente a un’esecuzione del tutto fedele furono sempre eluse, e incontrai solo indifferenza quando dimostrai che in esecuzioni scorrette taluni aspetti fondamentali del mio poema drammatico-musicale (come la svolta decisiva nel secondo atto) non risultavano affatto comprensibili. Si tenevano in gran conto un paio di preludi orchestrali, un coro, una cavatina: e si credeva che questo bastasse, perché l’opera, comunque, alla fine piaceva. Una sola volta a Monaco riuscii a concertare la mia opera esattamente secondo le mie intenzioni, per lo meno sotto il profilo della struttura ritmico-architettonica. Chi avesse assistito a quelle esecuzioni con vero sentimento e autentica comprensione si stupiva ora solo di una cosa: che il pubblico rimanesse assolutamente indifferente a un Lohengrin eseguito in modo piuttosto che in un altro. Quando l’opera tornò a essere rappresentata secondo la vecchia routine, l’effetto non non cambiò. Un’esperienza che, se poteva lusingare il direttore del teatro, in me insinuò inevitabilmente una profonda indifferenza nei confronti del pubblico tedesco. Da molti indizi apprendo ora invece che, in simile circostanza, presso un pubblico italiano avrei trovato tutt’altra ricettività. Sebbene lo stesso Rossini – in un colloquio che ebbi con lui dodici anni fa – imputasse a molle decadenza del gusto artistico dei suoi connazionali la ragione della sua condotta nella composizione, non fu mai pronunciata sentenza che giudicasse gli italiani insensibili di fronte a quanto di nobile venga loro offerto. Da quando ho appreso quanta impressione le sinfonie di Beethoven avesse suscitato al primo ascolto in Bellini – il quale prima del suo soggiorno a Parigi non le conosceva affatto- ho esaminato più da vicino le qualità degli amanti della musica ialiani e ne ho ricavato la più lusinghiera opinione su questa loro precipua caratteristica: una ricettività artistica spontanea e di fine sentimento, aperta a ogni direzione. Così mi tornò comprensibile – superato il bizzarro secolo della decadenza italiana con i suoi castrati e le sue piroette- lo spirito popolare, dall’incomparabile creatività, a cui il mondo moderno a partire dal Rinascimento deve tutta la propria arte. Le ho già espresso quanto fosse forte la tentazione di appellarmi al palese istinto artistico dei Suoi connazionali, per avere una volta la soddisfazione di sapere una creazione artistica non solo realizzata con delicate premure, ma anche considerata e accolta con delicata sensibilità. Un destino signolare mi ha più volte trattenuto dal seguire l’esempio di Goethe, il quale in occasione delle sue visite in Italia si entusiasmò tanto da rammaricarsi di dover tormentare la propria musa poetica con la lingua tedesca, quando l’italiana sarebbe stata più propizia alla sua creatività. Quello che, tra sospiri e afflizioni, ha ricondotto Goethe nelle nostre terre nordiche non può certo spiegarsi solo con le sue vicende biografiche. Io stesso, in diverse occasioni, ho cercato in Italia una nuova patria, ma ho poi sempre abbandonato l’idea per ragioni a me del tutto chiaro, che mi sarebbe invece difficile spiegare a Lei, stimato amico. Forse posso farmi meglio comprendere con questo esempio: io non ebbi modo di ascoltare l’ingenuo canto popolare che Goethe ancora udiva per le strade d’Italia; sentivo diffondersi invece il canto dell’operaio che tornava la sera dal lavoro, le stesse melodie operistiche affettate e molli che non voglio credere ispirate dal genio virile (ma nemmeno femminile!) della Sua nazione. Anche questo potrebbe tuttavia essere attribuito soltanto al mio patologico ed esagerato malumore. Di certo, sono più reconditi i motivi per i quali in Italia la mia fantasia uditiva è così sensibile. Non so se fosse un demone o un genio, di quelli che ci possiedono nelle ore decisive, comunque: ero sdraiato, insonne, in un albergo di La Spezia, quando ebbi l’ispirazione della mia musica per l’Oro del Reno; e subito feci ritorno nella mia triste patria per accingermi al compimento dell’immane creazione il cui destino mi tiene legato alla Germania più di ogni altra cosa. E’ stato osservato che il motivo dell’originaria produttività di una nazione va ricercato non tanto in quello che la natura le ha offerto a profusione, quanto in ciò che essa le ha dato con parsimonia. Il fatto che i tedeschi da un secolo abbiano conquistato un così grande influsso sullo sviluppo della musica – retaggio passato loro dagli italiani- può spiegarsi, tra l’altro, sotto il profilo fisiologico, in quanto essi, privi dello stimolo seducente di un talento vocale e melodico innato, hanno dovuto apprendere l’arte musicale con la stessa profonda serietà che i loro riformatori hanno profferto alla religione evangelica (una religione da riconoscere non nella pompa esaltante di sontuose cerimonie liturgiche, nel colorito splendore di un cielo ridente, bensì nelle serie promesse di consolazione per l’anima dell’umanità, che soffre privazioni d’ogni sorta). Questa tendenza ci ha necessariamente spinti verso una concezione del mondo idealistica, ma ci ha anche preservati dalla mollezza di una passione per il mondo troppo realistica. Così da noi anche la musica è diventata più che un’arte bella, un’arte sublime; e grande dev’essere il magico effetto di questa sublimità dell’animo, poiché nessuno di coloro che ne sono stati pervasi nell’intimo si è poi dimostrato accessibile alle seduzioni della più sensuale bellezza. Eppure rimane un senso di nostalgia, ad ammonirci che non comprendiamo appieno l’essenza dell’arte. L’opera d’arte vuole diventare infine atto pienamente percettibile; vuole conquistare l’uomo in ogni fibra delle sue sensazioni, penetrarlo come una corrente di gioia. Si è dimostrato che il grembo delle madri tedesche era in grado di concepire i geni più sublimi del mondo: bisogna ancora verificare se gli organi di percezione del popolo tedesco si dimostrino degni dei nobili parti di quelle madri elette. Occorrerebbe forse un nuovo connubio del genio dei popoli. Per noi tedeschi non ci sarebbe prospettiva d’amore migliore di quella che portasse all’unione del genio d’Italia con quello di Germania. Se il mio povero Lohengrin avesse svolto qui la parte di pronubo, gli sarebbe riuscito uno splendido atto d’amore. Il grande zelo, davvero commovente, con cui i miei amici italiani si sono impegnati nel bel gesto di trasferire lì la mia opera, e che io per personale esperienza so apprezzare a fondo, riesce a suscitare in me questa sublime speranza. Giudichi Lei, dall’opinione quasi smodata che ho espresso in proposito, quale importanza io attribuisca a tale evento e quanto io apprezzi i meriti degli artisti e amanti dell’arte a cui devo questo felice successo. Un cordiale saluto da suo Richard Wagner».
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  • Materiale: Inchiostro su carta
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