Fabio Mauri
Nato a Roma, Italia, nel 1926; morto a Roma nel 2009.
Fabio Mauri aveva diciannove anni quando vide per la prima volta delle fotografie dei campi di concentramento tedeschi. Quell’orrore indicibile che vi trapela lo animò nella sua indagine, durata tutta la vita, sull’insidiosa logica dell’arte, dell’ideologia e del totalitarismo. Ai margini del movimento dell’Arte Povera che dominava l’Italia degli anni sessanta, le sculture, le installazioni e gli scritti critici di Mauri hanno esplorato la storia filtrata attraverso la lente del privato. Nelle sue messe in scena, azioni e interventi, fortemente debitori del teatro gesuita seicentesco e del Teatro della Crudeltà di Antonin Artaud, Mauri ha usato il corpo umano come mezzo per la rivelazione e le rivoluzioni.
La sua installazione I numeri malefici (1978) impiega l’errore umano di calcolo per riconsiderare il rapporto tra uomo e storia. Su una lavagna l’equazione matematica pg = g (p)2 (p + a)n viene lasciata senza soluzione e, di conseguenza, la promessa matematica di una verità superiore, di una legge unica che unisca l’eterogeneità di ogni sforzo umano, resta irrealizzata. Altri segnali intimi della vita creativa di Mauri, emergono nella registrazione audio in cui Pier Paolo Pasolini legge la poesia La Guinea (pubblicata per la prima volta nel 1964). La poesia, che era il lamento allegorico di Pasolini per l’Italia contadina, diventa l’ode elegiaca di Mauri per il suo amico d’infanzia e collaboratore assassinato nel 1975. Tale perdita si affaccia nell’opera Il Muro Occidentale o del Pianto (1993), una parete alta quattro metri realizzata interamente con delle valigie. La scultura evoca il prezioso carico di coloro che furono deportati ad Auschwitz e di tutti i viaggi senza ritorno.
In una delle ultime sculture, Macchina per fissare acquerelli (2009), una scala che si allunga verso il soffitto finisce bruscamente con un listello sottile che porta, perforate, le parole “THE END”. Avendo raggiunto la sommità, non resta altro che scrutare in basso e attendere la caduta. Mauri lavoro incessantemente contro la veloce assimilazione delle atrocità della seconda guerra mondiale nell’increspato succedersi dei fatti storici. In tutta la sua carriera, ha realizzato disegni con le parole “The End” o, in italiano, “Fine”, decorate, graffiate o scarabocchiate sulla superficie. Mauri ha preso in prestito il linguaggio cinematografico per catturare una fine perpetua senza finalità, un ultimo momento a cui afferrarsi prima che lo schermo diventi nero.