Provenienza:
Cremona, collezione privata
Bibliografia:
D.Benati, in Guido Cagnacci, catalogo mostra Rimini a cura di D.Benati, M.Bona Castellotti, Milano 1993 pp. 78−81; M.Pulini, La Madonna col Bambino di Cagnacci. Un dipinto per Santarcangelo dalla Collezione Koelliker, catalogo della mostra a cura di M. Pulini, Recanati 2006; G. Papi, in La “Schola” del Caravaggio. Dipinti dalla Collezione Koelliker, catalogo della mostra a cura di G. Papi, Milano 2006, pp.100-101, n. 23; D. Benati, in Guido Cagnacci. Protagonista del Seicento tra Caravaggio e Reni, catalogo della mostra a cura di D. Benati, A. Paolucci, Cinisello Balsamo 2008, pp. 174-175, n. 26
Insieme alla versione dello stesso tema già in collezione Strozzi Sacrati, ora di proprietà della Fondazione della Cassa di Risparmio di Ferrara, rispetto alla quale propone minime varianti, il bellissimo dipinto esemplifica un tipo di produzione destinata alla devozione privata che il giovane Cagnacci dovette intraprendere una volta esaurito, con il soggiorno bolognese e i viaggi a Roma documentati dal testamento paterno (1643), il proprio apprendistato, portandolo avanti parallelamente alle commissioni pubbliche che cominciavano a pervenirgli dalle chiese romagnole. Si tratta di una produzione che il pittore avviava forse per proprio conto, al di fuori cioè di richieste precise, per tentarne poi la vendita in un secondo momento: un modo di operare già ben diffuso a Roma e che gli richiedeva un sia pur minimo investimento personale per i materiali da impiegare. I “lenzoli quattro et altre biancarie che esso Messer Guido pigliò di casa di detto Messer Mattheo suo Padre senza suo consenso et se le portò a S.Lodeccio”, ricordati nel citato testamento paterno del 1643 e imputati in genere al pittore come segno del suo carattere bizzarro, dovevano forse servire come tele sui cui eseguire dipinti come questo.
Pur nell'apparente intimità della soluzione figurativa adottata, mirata a porre in risalto l'umanità del rapporto che intercorre tra la Madre e il suo Bambino, Cagnacci fa ricorso a una cultura ormai estremamente scaltrita, in cui sembrano prevalenti i richiami alla pittura romana di ceppo caravaggesco: in questo senso il riferimento a Orazio Borgianni, proposto anni fa per questo dipinto da Roberto Longhi e sostenuto in seguito da Mina Gregori e Federico Zeri, appare, pur se erroneo, significativo di una capacità d'individuare in ambito romano i proprio modelli, che pone il giovane pittore in una posizione del tutto protagonistica in Romagna. Non si tratta ormai più di una timida apertura in direzione naturalistica consentita dalla conoscenza delle opere marchigiane di Gentileschi e di Guerrieri, come avviene ancora in questi anni da parte di artisti che avevano mosso insieme a lui i primi passi, bensì di una scelta di campo effettuata a ragion veduta sulla base di una diretta conoscenza delle molteplici potenzialità espresse a Roma dalla linea caravaggesca.
Così se il riferimento a Borgianni appare irreprensibile per giustificare il morbido pittoricismo con cui le parti in luce della veste della Vergine staccano quelle in ombra, l'opulenza del panneggio e la resa levigata del profilo della Vergine rimandano, più che a una riflessione su modelli ludovichiani, peraltro già parte integrante del complesso immaginario visivo del pittore (Pulini, in La Madonna col Bambino, 2006), alla conoscenza dei modi di Simon Vouet, resa forse possibile anche da ulteriori soggiorni romani, non documentati ma che pure è necessario ipotizzare per giustificare il vistoso accrescimento stilistico che intercorre tra opere come la pala di Montegridolfo e la vocazione di san Matteo di Rimini, da un lato, e la Processione del Sacramento di Saludecio, dall'altro, quest'ultima di esecuzione sicuramente accertata tra il 1627 e il 1628.
Ancor più che per la versione Strozzi Sacrati appaiono qui pertanto evidenti i collegamenti con la pala raffigurante la Madonna e tre santi carmelitani tuttora in San Giovanni Battista a Rimini, che di questa nuova stagione costituisce il frutto più maturo e più alto, a una data che è possibile precisare sul 1630. Se già nel dipinto Sacrati Strozzi il profilo della Vergine preannunciava quelli degli angeli che assistono al deliquio di Teresa d'Avila, il collegamento si fa ora più forte anche a livello di stesura pittorica, giacché a informare tanto questo dipinto quanto la pala carmelitana è proprio uno stesso senso di polita integrità formale, dove vengono meno le inquietudini luministiche della fase precedente e i volumi, profondamente scavati dalle ombre, si fanno più saldi e pieni.
Daniele Benati