1929
LA SCENOGRAFIA IN FRANCIA
11 Teatro è un bassorilievo animato. (I. TAINE),
e che da
Parigi trabocca e invade il mondo è francese e noi
lo accettiamo per tale.
Così è avvenuto per la scenografia.
Si accenna da qualche tempo in Italia a un risveglio d'in-
teresse nei riguardi della scenografia e della meccanica tea-
trale: ma, come al solito, si gira al largo dal problema cen-
trale, per soffermarsi lungamente sulle questioni di dettaglio.
In genere gli studiosi del problema scenografico si applicano
a cercare delle soluzioni generali, una formula definitiva e
come tale applicabile a tutti i casi. Siamo ancor lontani dal
concetto che considera la messa in iscena d'un'opera d'arte
come un'emanazione naturale dell'
opera stessa. Da noi lo
spettacolo teatrale viene ancora osservato da tre punti di
vista diversi: nessuno o quasi pare sospettare che ogni spet-
tacolo teatrale deve essere un tutto organico e che preten-
dere, ad esempio, che la
recitazione sia, come succede per
la maggior parte degli attori nostrani, naturalistica, la messa
in iscena sintetica o cubista, senza tener conto dell'opera che
gli attori devono recitare e le scene inquadrare, è assurdo.
Così facendo si frantuma in parti diverse, che diversamente
attirano l'attenzione del pubblico, quello che dovrebbe ordi-
narsi secondo un concetto d'unica e superiore armonia.
Quando occupandosi di uno spettacolo si è costretti a far
distinzione tra l'opera dello scrittore o del musicista, quella
dell'attore e quella del pittore-scenografo, significa che lo
spettacolo è nato morto.
Mi piace
qui tradurre quel che Jean Cocteau scriveva nella
prefazione di «Les mariés de la tour Eiffel» a questo pro-
posito: «Un'opera di teatro dovrebbe essere scritta, musi-
cata, recitata, danzata da un solo uomo che ne dovrebbe
anche dipingere le scene e creare i costumi. Un simile atleta
non esiste. Conviene quindi sostituire l'individuo con quel
che rassomiglia di più a un individuo: un gruppo amicale».
Sia detto di passaggio, è questo il principio cui si ispirarono
tutti i creatori dei così detti teatri d'eccezione, da Antoine a
Copeau, da Adrià Gual a V. E. Meierhold.
Ma i nostri critici, a quanto pare, non si sono ancora ac-
corti di ciò e nelle poche righe che riservano all'esecuzione,
dopo aver commentato l'opera rappresentata, osservano:
«Gli attori fecero del loro meglio », oppure : « l'attore X re
citò magnificamente secondato in modo mirabile dai suoi
compagni», dopo di che, qualche volta, aggiungono: la
messa in iscena ci parve troppo realista » O « realizzata deli-
ziosamente ». Questo sistema di fare la critica teatrale, cui i
nostri critici sono stati indotti dal genere di spettacoli che le
sale teatrali italiane offrono abitualmente, e, in un certo
senso, la condanna del nostro teatro. Il quale è un po' -
per usare d'un paragone chiarificatore come quei quadri
che non si possono lodare senza restrizioni: una volta si dice
bene del colore e si trascura il disegno e la composizione ;
un'altra si lodano disegno e composizione senza far motto
dei valori cromatici: una terza, infine, si dice mirabilia della...
cornice, ed è quando del quadro è meglio non parlare.
Tutto questo non è detto all'inizio d'una nota sulla sceno-
grafia in Francia, con lo scopo di esaltare ancora una volta
quanto si è fatto oltr'Alpe a detrimento di quanto si è fatto
da noi. Quello di cui mi piace lodare la Francia, la quale
tutt'ora quanto a scenografia, brancola un po' nella selva
selvaggia dei tentativi, è di possedere uno spirito curioso di
ogni innovazione. Questo spirito è la qualità che concorre
più d'ogni altra a fare della nazione nostra vicina un for-
midabile accumulatore di energie. Molti dei nostri migliori
tisti hanno preso la via di Parigi. C'è una ragione: ogni
vità è laggiù bene accolta, ogni impulso che indirizzi per
a strada nuova secondato. La forza della Francia, di Pa-
sopratutto, sta appunto nell'aiutare i tentativi degli ar-
siano essi stranieri o indigeni, e nel raccogliere poi la
ma di questi tentativi sotto la definizione generale di
francese. Non monta che Picasso sia catalano, Brunel-
e Cappiello, Modigliani e Severini italiani, Gordon
inglese, Leon Bakst e Diaghilef russi. Adolfo Appia
croze svizzeri, Rolf de Maré svedese; non importa che
di tutte le nazionalità si rovescino annualmente in
grande caldaia d'estetiche ch'è Parigi e che vi lavo-
vi creino secondo il genio della propria razza, influen-
gli ambienti degli artisti veramente francesi - come
aso dei «Balletti russi >>--; non importa che i francesi
spesso più che dei veri e propri creatori dei melleurs
pint delle teorie altrui: tutto quello che si crea a Parigi
1.
Infatti basta pensare che quanto di migliore è stato realiz-
zato sul teatro francese in fatto di messinscena dal principio
del nostro secolo ad oggi è opera di stranieri o di francesi
che a concetti stranieri si ispirarono, per riconoscere l'esat
tezza della precedente asserzione. «I balletti russi scrive
Léon Moussinec « apparsi nel 1909, hanno prolungato la loro
influenza al punto di pesare ancora sulle arti decorative di
Francia. Gli e che essi erano riusciti in qualche modo a con-
densare e a esaltare sino al massimo possibile dell'espres-
sione le tendenze artistiche di un'epoca alla quale la Persia
e il Giappone avevano definitivamente rivelato la raffinatezza
originale e la meravigilosa precisione del loro gusto >>
È sotto questa ed altre influenze notevoli che si venne de-
lineando in Francia tutto un movimento di rinnovamento
scenografico, movimento cui, naturalmente, non parteciparono
i grandi teatri e i teatri sovvenzionati dallo Stato. I primi
rimasero fedeli alle tradizionali lussuose scenografie e coreo-
quella messinscena con tendenze naturalistico-fotografiche che
buone tutt'al più pour épater les bourgeois, gli altri a
impera, per riflesso, anche sulle nostre maggiori scene liri-
che, a dispetto della nostra magnifica tradizione d'architettura
scenografica che vanta i nomi d'un Palladio e d'un Bibiena.
Ed è appunto in opposizione al realismo che il movimento
suaccennato si pronunciò. Antoine, sul palcoscenico del suo
Teatro Libero, era giunto al punto di mettere in iscena dei
veri buoi squartati perchè l'azione del dramma si svolgeva
in macelleria. Allora il pubblico parigino si ribello, senza
comprendere che dopo tanto romanticismo bislacco, anche
quei quarti sanguinolenti avevano la loro ragione d'essere.
Oggi più una messinscena tende a sembrare reale, più il
pubblico ne gode.
Contro questa tendenza realistica gli artisti insorsero. Nel
1890 allorchè Antoine era all'apogeo della sua fortuna
Paul Fort, il poeta delle «Ballate francesi» — appena die-
ciassettenne, ebbe il coraggio di fondare, senza mezzi, il
Théâtre Mixte intorno al quale si radunarono Mallarmé, Ver-
laine, Henri de Régnier, Moréas, Alfred Vallette, che aveva
da poco fondato il « Mercure de France ». Dopo due spet-
• tacoli il Théâtre Mixte cambiava nome e diveniva il Théâtre
d'art, dichiarando guerra al Teatro Libero. Pierre Quillard,
all'indomani della rappresentazione della sua «Fille aux
mains coupées » affermava, ribattendo le critiche che gli ve-
nivano fatte, che «la parola crea la scena (décor) come tutto
il resto e. ancora, che «la scena (décor) deve essere una
pura finzione ornamentale che completi l'illusione per mezzo
di pure analogie di colori e di linee col dramma»; e Paul
Séruzier affermava la necessità del trionfo universale del
l'immaginazione degli esteti sugli sforzi dell'imitazione be-
stiale. Si videro in seguito «Le concile féerique di Jules
Laforgue con scenarî di Vuillard, «Théodat» di Remy de
Gourmont con scenarî di Maurice Dénis, e, ancora, messe
in iscena di Odilon Redon, K. X. Roussel, Ranson, Séruzier,
con grande ira di quel bestiale rappresentante della critica
di tutti i tempi, miope ed antiartistica, che fu il professore
Francisque Sarcey.
L'importanza trascendentale del Théâtre d'Art fu grande :
ma da esso non poteva nascere, come non nacque, una
nuova scenografia. Ciò, prima di tutto, perchè i suoi diret-
tori lavoravano più per negare (negare il naturalismo di An-
toine) che per affermare, e, in secondo luogo, perchè il me-
todo di chiamare dei pittori a dipingere dei bozzetti di scene
può servire tutt'al più a rendere più evidente la linea che
divide l'opera del poeta da quella dello scenografo. La nuova
scenografia potrà nascere dalle idee d'un Gordon Hraig, di
un Max Reinhardt, d'un Mayerkold o d'un Adolphe Appia,
studiate e svolte, ma non dal lavoro occasionale e spesso di-
scorde d'un gruppo di pittori di tendenze e di personalità
diverse. E anche in seguito in Francia si operò in questo
se si eccettui il Théâtre du Vieux Colombier, nel
quale, in obbedienza alle idee del suo direttore, la messin-
scena era ridotta a poca cosa, i direttori di teatri antitradi-
zionali si rivolsero ai pittori più in voga per incaricarli di
creare gli scenari e i costumi per i loro spettacoli.
senso