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Materiale bibliografico, Oggetto 56

Lonzi Carla31 gennaio 1924 - marzo 1957

La Galleria Nazionale

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Roma, Italia

Ritagli stampa da quotidiani e periodici; moduli compilati per la richiesta di opere in lettura e per la restituzione dei libri; una trascrizione dattiloscritta delle Lettere da Parigi di Anton Giulio Bragaglia; schede bibliografiche; catalogo bibliografico.

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  • Titolo: Materiale bibliografico, Oggetto 56
  • Creatore: Lonzi Carla
  • Data di creazione: 31 gennaio 1924 - marzo 1957
  • Trascrizione:
    1929 LA SCENOGRAFIA IN FRANCIA 11 Teatro è un bassorilievo animato. (I. TAINE), e che da Parigi trabocca e invade il mondo è francese e noi lo accettiamo per tale. Così è avvenuto per la scenografia. Si accenna da qualche tempo in Italia a un risveglio d'in- teresse nei riguardi della scenografia e della meccanica tea- trale: ma, come al solito, si gira al largo dal problema cen- trale, per soffermarsi lungamente sulle questioni di dettaglio. In genere gli studiosi del problema scenografico si applicano a cercare delle soluzioni generali, una formula definitiva e come tale applicabile a tutti i casi. Siamo ancor lontani dal concetto che considera la messa in iscena d'un'opera d'arte come un'emanazione naturale dell'opera stessa. Da noi lo spettacolo teatrale viene ancora osservato da tre punti di vista diversi: nessuno o quasi pare sospettare che ogni spet- tacolo teatrale deve essere un tutto organico e che preten- dere, ad esempio, che la recitazione sia, come succede per la maggior parte degli attori nostrani, naturalistica, la messa in iscena sintetica o cubista, senza tener conto dell'opera che gli attori devono recitare e le scene inquadrare, è assurdo. Così facendo si frantuma in parti diverse, che diversamente attirano l'attenzione del pubblico, quello che dovrebbe ordi- narsi secondo un concetto d'unica e superiore armonia. Quando occupandosi di uno spettacolo si è costretti a far distinzione tra l'opera dello scrittore o del musicista, quella dell'attore e quella del pittore-scenografo, significa che lo spettacolo è nato morto. Mi piace qui tradurre quel che Jean Cocteau scriveva nella prefazione di «Les mariés de la tour Eiffel» a questo pro- posito: «Un'opera di teatro dovrebbe essere scritta, musi- cata, recitata, danzata da un solo uomo che ne dovrebbe anche dipingere le scene e creare i costumi. Un simile atleta non esiste. Conviene quindi sostituire l'individuo con quel che rassomiglia di più a un individuo: un gruppo amicale». Sia detto di passaggio, è questo il principio cui si ispirarono tutti i creatori dei così detti teatri d'eccezione, da Antoine a Copeau, da Adrià Gual a V. E. Meierhold. Ma i nostri critici, a quanto pare, non si sono ancora ac- corti di ciò e nelle poche righe che riservano all'esecuzione, dopo aver commentato l'opera rappresentata, osservano: «Gli attori fecero del loro meglio », oppure : « l'attore X re citò magnificamente secondato in modo mirabile dai suoi compagni», dopo di che, qualche volta, aggiungono: la messa in iscena ci parve troppo realista » O « realizzata deli- ziosamente ». Questo sistema di fare la critica teatrale, cui i nostri critici sono stati indotti dal genere di spettacoli che le sale teatrali italiane offrono abitualmente, e, in un certo senso, la condanna del nostro teatro. Il quale è un po' - per usare d'un paragone chiarificatore come quei quadri che non si possono lodare senza restrizioni: una volta si dice bene del colore e si trascura il disegno e la composizione ; un'altra si lodano disegno e composizione senza far motto dei valori cromatici: una terza, infine, si dice mirabilia della... cornice, ed è quando del quadro è meglio non parlare. Tutto questo non è detto all'inizio d'una nota sulla sceno- grafia in Francia, con lo scopo di esaltare ancora una volta quanto si è fatto oltr'Alpe a detrimento di quanto si è fatto da noi. Quello di cui mi piace lodare la Francia, la quale tutt'ora quanto a scenografia, brancola un po' nella selva selvaggia dei tentativi, è di possedere uno spirito curioso di ogni innovazione. Questo spirito è la qualità che concorre più d'ogni altra a fare della nazione nostra vicina un for- midabile accumulatore di energie. Molti dei nostri migliori tisti hanno preso la via di Parigi. C'è una ragione: ogni vità è laggiù bene accolta, ogni impulso che indirizzi per a strada nuova secondato. La forza della Francia, di Pa- sopratutto, sta appunto nell'aiutare i tentativi degli ar- siano essi stranieri o indigeni, e nel raccogliere poi la ma di questi tentativi sotto la definizione generale di francese. Non monta che Picasso sia catalano, Brunel- e Cappiello, Modigliani e Severini italiani, Gordon inglese, Leon Bakst e Diaghilef russi. Adolfo Appia croze svizzeri, Rolf de Maré svedese; non importa che di tutte le nazionalità si rovescino annualmente in grande caldaia d'estetiche ch'è Parigi e che vi lavo- vi creino secondo il genio della propria razza, influen- gli ambienti degli artisti veramente francesi - come aso dei «Balletti russi >>--; non importa che i francesi spesso più che dei veri e propri creatori dei melleurs pint delle teorie altrui: tutto quello che si crea a Parigi 1. Infatti basta pensare che quanto di migliore è stato realiz- zato sul teatro francese in fatto di messinscena dal principio del nostro secolo ad oggi è opera di stranieri o di francesi che a concetti stranieri si ispirarono, per riconoscere l'esat tezza della precedente asserzione. «I balletti russi scrive Léon Moussinec « apparsi nel 1909, hanno prolungato la loro influenza al punto di pesare ancora sulle arti decorative di Francia. Gli e che essi erano riusciti in qualche modo a con- densare e a esaltare sino al massimo possibile dell'espres- sione le tendenze artistiche di un'epoca alla quale la Persia e il Giappone avevano definitivamente rivelato la raffinatezza originale e la meravigilosa precisione del loro gusto >> È sotto questa ed altre influenze notevoli che si venne de- lineando in Francia tutto un movimento di rinnovamento scenografico, movimento cui, naturalmente, non parteciparono i grandi teatri e i teatri sovvenzionati dallo Stato. I primi rimasero fedeli alle tradizionali lussuose scenografie e coreo- quella messinscena con tendenze naturalistico-fotografiche che buone tutt'al più pour épater les bourgeois, gli altri a impera, per riflesso, anche sulle nostre maggiori scene liri- che, a dispetto della nostra magnifica tradizione d'architettura scenografica che vanta i nomi d'un Palladio e d'un Bibiena. Ed è appunto in opposizione al realismo che il movimento suaccennato si pronunciò. Antoine, sul palcoscenico del suo Teatro Libero, era giunto al punto di mettere in iscena dei veri buoi squartati perchè l'azione del dramma si svolgeva in macelleria. Allora il pubblico parigino si ribello, senza comprendere che dopo tanto romanticismo bislacco, anche quei quarti sanguinolenti avevano la loro ragione d'essere. Oggi più una messinscena tende a sembrare reale, più il pubblico ne gode. Contro questa tendenza realistica gli artisti insorsero. Nel 1890 allorchè Antoine era all'apogeo della sua fortuna Paul Fort, il poeta delle «Ballate francesi» — appena die- ciassettenne, ebbe il coraggio di fondare, senza mezzi, il Théâtre Mixte intorno al quale si radunarono Mallarmé, Ver- laine, Henri de Régnier, Moréas, Alfred Vallette, che aveva da poco fondato il « Mercure de France ». Dopo due spet- • tacoli il Théâtre Mixte cambiava nome e diveniva il Théâtre d'art, dichiarando guerra al Teatro Libero. Pierre Quillard, all'indomani della rappresentazione della sua «Fille aux mains coupées » affermava, ribattendo le critiche che gli ve- nivano fatte, che «la parola crea la scena (décor) come tutto il resto e. ancora, che «la scena (décor) deve essere una pura finzione ornamentale che completi l'illusione per mezzo di pure analogie di colori e di linee col dramma»; e Paul Séruzier affermava la necessità del trionfo universale del l'immaginazione degli esteti sugli sforzi dell'imitazione be- stiale. Si videro in seguito «Le concile féerique di Jules Laforgue con scenarî di Vuillard, «Théodat» di Remy de Gourmont con scenarî di Maurice Dénis, e, ancora, messe in iscena di Odilon Redon, K. X. Roussel, Ranson, Séruzier, con grande ira di quel bestiale rappresentante della critica di tutti i tempi, miope ed antiartistica, che fu il professore Francisque Sarcey. L'importanza trascendentale del Théâtre d'Art fu grande : ma da esso non poteva nascere, come non nacque, una nuova scenografia. Ciò, prima di tutto, perchè i suoi diret- tori lavoravano più per negare (negare il naturalismo di An- toine) che per affermare, e, in secondo luogo, perchè il me- todo di chiamare dei pittori a dipingere dei bozzetti di scene può servire tutt'al più a rendere più evidente la linea che divide l'opera del poeta da quella dello scenografo. La nuova scenografia potrà nascere dalle idee d'un Gordon Hraig, di un Max Reinhardt, d'un Mayerkold o d'un Adolphe Appia, studiate e svolte, ma non dal lavoro occasionale e spesso di- scorde d'un gruppo di pittori di tendenze e di personalità diverse. E anche in seguito in Francia si operò in questo se si eccettui il Théâtre du Vieux Colombier, nel quale, in obbedienza alle idee del suo direttore, la messin- scena era ridotta a poca cosa, i direttori di teatri antitradi- zionali si rivolsero ai pittori più in voga per incaricarli di creare gli scenari e i costumi per i loro spettacoli. senso
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  • Note: La pubblicazione Index, fascicolo speciale dedicato al teatro, stagione 1929: annata settima del Teatro sperimentale degli indipendenti diretto da Anton Giulio Bragaglia, appendice a «Cronache d'attualità», n. 107, VI(1929), presente nella III Sezione: Biblioteca è stata rinvenuta insieme agli altri materiali di questo fascicolo.
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