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Materialità dell'opera d'arte, Oggetto 13

Carla Lonzi[1968]

La Galleria Nazionale

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Roma, Italy

Fotocopia dell'articolo Tecniche e materiali, a cura di Carla Lonzi, Tommaso Trini, Marisa Volpi Orlandini, «Marcatré», n. 37/38/39/40, 1968; frammento di articolo dattiloscritto con correzioni manoscritte del dialogo con Pietro Consagra.

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  • Title: Materialità dell'opera d'arte, Oggetto 13
  • Creator: Lonzi Carla
  • Date Created: [1968]
  • Transcript:
    TECNICHE/MATERIALI importanza. L'ottica è un aspetto es- senziale dell'arte visiva, che produce appunto cose da guardare. Il bianco e nero dei miei quadri significava questo: il bianco era luce, il nero buio e volevo che ciò si vedesse bene. Usando in seguito tutti gli altri colori con quegli effetti balenanti scanditi da fitti segni, tentavo di arrivare il più possibile alla luce piena, al quasi bianco, per dire. Adesso nei miei ultimi lavori, uso i fluorescenti perché per se stessi so- no colori solari: accanto ad essi i colori normali appaiono immersi nel- l'ombra. D. E l'uso della plastica traspa- rente? R Per le medesime ragioni uso la plastica come cosa di luce, mesco. lanza, fluidità con l'ambiente intorno: forse per togliere al quadro il suo valore di totem. Anche i miei oggetti sono quasi del tutto dei fatti estetici, visivi: la tenda, l'ombrellone, il lettino stanno con leg- gerezza davanti a chi li guarda, se lui stesso guarda con semplicità e se gli piace liberarsi dagli oggetti pesanti e convenzionali che gli si so- no accumulati intorno ELIO MARCHEGIANI D.Non ti chiedo neppure se lo svi- luppo della tecnologia ha influenza nell'arte contemporanea perché il tuo lavoro, tutto basato sull'applicazione di tecniche meccaniche, sembra es- serne una dimostrazione programma- tica. Allora come ti è venuta l'idea di questo tipo di ricerca? R. Io ho avuto un certo periodo "pop" che pochi conoscono, quando facevo parte del Gruppo 70 a Firenze dal quale uscii abbastanza clamoro- samente. Comunque io avevo fatto dei quadri usufruendo di vecchie serra- ture: i quadri si aprivano con delle chiavi, cioè c'era una partecipazione diretta dello spettatore, toccavi il qua- dro,dro, andavi a vederlo, aprivi, chiu- devi queste serrature ... Poi c'era il fatto della luce che mi entusiasmava moltissimo. Pensa che io non sapevo niente, ero proprio fuori di un'informazione precisa per- chè a Livorno allora non arrivava niente, io non sapevo che gli artisti lavoravano con la luce... Questo po- chi lo crederanno, non sapevo asso- lutamente che esistesse un Le Parc... I primi cataloghi li ho visti all'Obeli- SCO. Avevo già fatto la Venere e il Progetto Mercury. Strano, sarà intui- zione, sarà in aria... Siccome la conquista dello spazio mi ha sempre interessato, le ricerche spaziali, queste cose qui, questa bat- taglia per arrivare alla luna. Parago- nata all'ambiente mio dove vive, sai, gente, che a un certo punto scopriva Fattori, e continuava a lavorare ad olio... Anzitutto ho pensato che se una mac- china elettronica in cui vengono in- serite delle schede perforate a un certo punto dà un contesto scritto, e le perforazioni sulla scheda danno macchina per cui la macchina si mette in movimento, e quella determinata perforazione corrisponde a quel de- terminato impulso, il quale fa muove- re determinati ingranaggi ecc. con de- terminate lettere, cioè la funzione del la macchina calcolatrice, cioè a un certo punto esce fuori proprio il na- stro di carta..., ho pensato che que- sto meccanismo poteva creare anche immagini e sequenze di immagini, Cosi ho messo in opera una specie di grande laboratorio artigianale e ho curato tutte le fasi realizzative del processo. D Con uno studio accurato sono riuscito a trasformare p. es. un manichino del- la Standa, un volgare, vecchio mani- chino, sono riuscito a trasformarlo nel David di Michelangelo. Come hai fatto? R Calcolando le distanze, sai che la luce genera l'ombra, l'ombra che viene raccolta da questo diffusore. Studiando la distanza che c'è fra il punto luce, l'oggetto e il diffusore io posso filmare delle deformazioni del- l'immagine, che poi invece di essere deformazioni possono essere anche modi di perfezionarla. D. Devi progettare minutamente que- sta trasformazione, non ti servi di so- luzioni casuali? R. No, il tutto avviene in fase speri- mentale, questo ci tengo a dirlo, non è mai stato disegnato niente. Se ti faccio vedere i disegni della Minerva impazzisci perché sono soltanto degli scarabocchi: ho lasciato degli spazi, ho tracciato delle linee, c'è scritto 20, 30, 5, 7, 8, sono le distanze delle lampade dall'oggetto e il diffusore e basta, non c'è altro. D. R. Quante immagini fa un oggetto? R. Per esempio la Venere aveva cir- ca 96 immagini. Le 96 immagini le ho ottenute mi pare con 40 lampade. D. E quante combinazioni? Infinite? En! quasi, guarda. Si, quello del- la Minerva, si. Quella poi del Proget. to Mercury, ha le stesse combinazioni che può avere un pianoforte, perché li c'è una tastiera. La tastiera l'ho inventata per fermare la successione delle immagini a volontà dello spet- tatore, altrimenti vanno troppo veloci e se ti piace non le puoi guardare. La Venere poi l'ho accompagnata con un pezzo di un concerto di John Cage che è vecchissimo; il Progetto Mercury è invece accompagnato con voci, suoni, del Progetto Mercury americano, un collage, tutti i dati, i rumori, i suoni, nello spazio. Ora sto studiando il laser, la lampa- da oggi non mi soddisfa piú. Se lo avessi i mezzi finanziari, qualcuno che mi potesse aiutare, c'è quella meravigliosa fonte di luce che è il laser: si ottengono cose favolose! 11 laser è una luce-forza che invece di lanciare i raggi come la luce natu- rale, li converge; col laser taglia per es. la lamiera, qualsiasi cosa. Non è calorifica, batte, taglia, e nel momento che taglia però brucia. Quello che a me ha fatto rabbia è che il laser sia stato usato in un altro campo, da gente profana. Da dei ladri a Londra che hanno scassinato una cassaforte per la prima volta co! laser. Usandolo in una certa maniera si può proiettare un'immagine nella sua totalità dimensionale. Cioè col raggio laser per es. quel vaso li te lo proietto di qua, ma non piatto, per- ché la luce è l'immagine del vaso. però tridimensionale, D. Ho capito. Senti, ma c'è un aspet- to di gioco in quello che fai, un divertimento. R. Infatti mi diverto immensamente quando faccio scoperte... Il mio og. getto oltre tutto deve anche divertire e lo spettatore deve sempre avere la possibilità di avere quel che lui vuo- le, adoperarne la tecnica. D. Ti appassiona anche questa ri- petizione all'infinito, cioè l'impossibi- lità di riafferrare l'immagine una volta vista... R. E poi questa velocità che ha l'immagine, velocità che fa parte del- la nostra epoca.
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