Questa svelta figura fa parte di un gruppo di quattro opere che ritraggono tutte divinità antiche. La peculiarità del tratto, il fremito del corpo, la resa veloce dei dettagli, che identificano senza dubbio il dio Mercurio, apparentano il dipinto alla scuola emiliana del tardo Cinquecento, ed in particolare conducono alla personalità di Camillo Procaccini, che visse i suoi anni giovanili in Emilia, tra Parma, Reggio e Bologna, ma che divenne poi molto celebre a Milano, città in cui venne soprannominato il Vasari lombardo. La sua produzione è in ampia parte di tema sacro. Tuttavia, anche nella illustrazione di scene del Vangelo, egli si caratterizza innanzitutto per il richiamo a maestri quali Raffaello, Michelangelo e il Parmigianino, quindi per quella velocità, quasi una corsa, che i diversi personaggi esibiscono, oltre ad un senso del colore davvero ragguardevole. Qui ci troviamo davanti ad un Mercurio quasi ignudo, se non fosse per il manto di un bellissimo verde; egli mostra il caduceo, e nei tratti del viso, da servo scaltro, denuncia inconfondibilmente il debito nei confronti della grande scuola parmense. Tuttavia, alla figura non manca una certa monumentalità, come testimoniano le gambe nervose e toniche, che sembrano voler spiccare fra un attimo un balzo.