La Cina rappresenta probabilmente la quintessenza dello spostamento delle persone dalla campagna alla città, e il modello utilizzato per accogliere questo flusso umano nel nuovo insediamento urbano è stato quello di radere tutto al suolo e densificare la città con i grattacieli. Ciò che colpisce è che questo modello, originariamente utilizzato nel mondo occidentale, si è rivelato fallimentare e di conseguenza ha dovuto essere abbandonato.
Zhang Ke cerca valide alternative a questo modo di costruire città basate su antiche tipologie cinesi. L’architetto propone una rivisitazione del tradizionale hutong, una struttura che si sviluppa intorno a una corte centrale comunitaria che serve non solo come fonte di luce e di ventilazione, ma anche come spazio di aggregazione e interazione sociale.
Questa tipologia, nonostante la fragilità e l’alto tenore di vita che ne consegue, ha un’elevata densità perimetrale, il che significa che potrebbe essere molto efficiente in un contesto urbano e fornire un’alternativa competitiva al grattacielo di periferia. La rielaborazione di Zhang Ke degli hutong non è solo un atteggiamento responsabile e consapevole per evitare di incappare ancora una volta negli errori già commessi dal modernismo, ma mantiene vive anche preziose tradizioni di vita, culturali e anche artigianali che, grazie a questo tipo di urbanizzazione, stanno rapidamente scomparendo. Questo atteggiamento di rispetto per l’esistente, restituendogli nuova vita, è stato utilizzato anche nel lavoro di Zhang Ke in Tibet. Nel caso della Cina metropolitana, l’architetto cerca di porre l’attenzione su come, prima di fare tabula rasa e costruire grattacieli per massimizzare i profitti immobiliari, sia opportuno concedere il beneficio del dubbio a tipologie locali che possono essere altrettanto efficaci, ma che hanno l’ulteriore vantaggio di poter ben preservare la cultura e le tradizioni di vita, una sorta di baluardo contro l’invadente omogeneizzazione globale.
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