rare il fenomeno a tutto campo.era avvenuto
Dobbiamo a Moreno Bucci, grande appassiona-
to della scenografia teatrale (e responsabile
dell'Archivio storico del Teatro Comunale di Fi-
renze), non solo la riscoperta della tesi con cui
Carla Lonzi venticinquenne si laureava nel '56 a
Firenze alla cattedra di Longhi, ma anche l'at-
tenzione che, con il supporto della Fondazione
Carlo Marchi, nuovamente si dedica (dopo
un'emozionante ricordo, organizzato, tramite
fotografie e quadri degli artisti che amo, nella
Biennale veneziana del '93) ad una straordina-
ria intellettuale, tanto lucida (e fino allo strazio
personale) quanto poco fortunata. Dopo una
breve ma intensa partecipazione in veste di cri-
tico alle vicende artistiche degli anni '60, e la
militanza in Rivolta femminile, il gruppo di
autocoscienza femminista da lei fondato assie
me a
Carla Accardi e a Elvira Banotti, all'interno
del quale ella scrisse libelli audaci e famosi (si
ricordi Sputiamo su Hegel, con
a le
distanze dal marxismo, del 1970, e l'
sta Sessualità e aborto, l'anno successivo, con
cui assumeva sulla questione, analogamente a
Pasolini, un'altra posizione tanto ferreamente
coerente agli ideali
femministi, quanto impopo-
lare), la Lonzi veniva stroncata dal cancro a 51
anni e la sua parabola esistenziale, tanto bru-
ciante e creativa, si chiudeva. Lei per prima
aveva accantonato e forse dimenticato la sua
tesi di laurea, che, per il riguardare un aspetto
della produzione artistica allora ancora sottova-
lutato, non ricevette la larga attenzione che me-
ritava. Ed invece la Lonzi, già nella scelta della
materia (sostenuta dall'attento Longhi) manife-
stava quella brillantezza intellettuale con cui
avrebbe sottoposto ogni evento, culturale ed
esistenziale, alla disamina più accanita e impie-
tosa. A metà degli anni '50 erano ben pochi i te
sti dedicati in Italia alla scenografia, e scarsa-
mente diffusi ancora quelli stranieri. Il ritardo
con cui nel nostro Paese, a fronte di Germania
o Francia o Russia, si era affermata una conce-
zione moderna del teatro, era responsabile an-
che della scarsa attenzione con cui si guardava
alla rivoluzione scenografica novecentesca (in
particolare, al passaggio da scenografie di me-
stieranti
a opere decorative di piena dignità pit-
torica ed artistica), che era stata teorizzata e
realizzata, anche nelle sue massime punte, so-
prattutto e anzitutto altrove. Con caparbietà,
entusiasmo ed una indomabile volontà di esplo-
la Lonzi si di
in Europa e particolarmente in Italia, dalla fine
dell'800 al dopoguerra, ovviamente
sofferman
dosi sul Teatro torinese di Gualino, dove avven-
nero le prime esperienze scenografiche di pitto-
ri di impostazione e sentire moderno, sulle spe
rimentazioni futuriste e sul Maggio Musicale
Fiorentino, che cial '33 si era posto decisamente
all'avanguardia in Italia in questo campo (segui-
to a partire dal 38, al Teatro Reale di Roma, da
Milloss, con cui
purtroppo la giovane studiosa
non entrò in contatto). La tesi della Longhi vale
per la rapida ma luminosa traiettoria che trac-
cia su un panorama complesso, da lei peraltro
guardato in un'ottica per lo più francese, giac-
ché alla Francia gli studi e le frequentazioni la
facevano più prossima: il che la portò ad asse-
gnare, e giustamente, importanza alle collabo-
razioni teatrali dei Nabis, ma a paragone ad in-
sca o inglese, come quelle di E.G. Craig, di cui
dugiare troppo
poco su esperienze di area tede-
le sfuggi tra l'altro la fondamentale rivista «The
Mask, pubblicata dal 1905 al 1929 proprio a Fi-
renze, dove lei stessa studiava. Inevitabilmente
il suo impeto di neofita la condusse, oltre che a
valutazioni a tratti un po' «tagliate con l'accet-
ta, a sopravvalutare Prampolini (da lei definito
stra tutti i pittori italiani l'unico vero sceno-
grafo, p. 65) e a minimizzare, molto probabil-
mente dietro le suggestioni su di lei esercitate
dallo stesso pittore, artisti come Severini e De-
pero (contro il quale Prampolini era in noto
contrasto)
spose a ripercorrere tutto
viazione fonetica francese del suo vero cogno-
me, Szimin) - forse fino ad ora meno celebra-
to degli altri fondatori della mitica agenzia - la
Federico
volume, che rappresenta la prima grande mono-
grafia sulla sua opera (Chim. Le fotografie di
David Seymour, foto in bicromia, testi di
Inge Bondi, Cornell Capa e Cartier-Bresson).
Troviamo Chim sempre puntuale agli appunta-
menti con la storia, dalla vittoria del Fronte
Popolare a Parigi alla guerra civile spagnola,
dal tragico epilogo della seconda guerra mon-
diale in Germania alle distruzioni in Italia e in
Polonia. Sempre con l'occhio pronto a guardare
i grandi eventi attraverso la vita e la sofferenza
della gente comune, per offrirci nel complesso
un ritratto prevalentemente duro e dolente del
la società della prima metà del secolo
Una sofferenza che fu vissuta prima di tutti dai
bambini, come documenta la parte centrale del
libro, che rappresenta senza dubbio il punto più
alto della fotografia di Seymour, il quale nel
1948 fu incaricato dall'UNICEF di realizzare un
volume sulla condizione dell'infanzia nel nostro
53
Dalle orfanelle che giocano tra le macerie di
Montecassino al piccolo cieco di Roma che leg
ge con le labbra, dai ragazzi rapati a zero del-
riformatorio di Napoli alla piccola degente nel
sanatorio di Otwock presso Varsavia, le foto di
Seymour ci mostrano un mondo infantile segna-
to dalla violenza e dal dolore, che comunque ci
riconduce alla vita con struggente dolcezza e
poesia. Nella sua lunga attività
Chim ha fotogra-
fato anche i più famosi personaggi del secolo. Il
libro ci offre una bella carrellata di questi ritrat-
ti, tra cui Carlo Levi con l'inseparabile toscano,
Picasso davanti a «Guernica, una inimitabile
Peggy Guggenheim sullo sfondo del ponte del
l'Accademia, Toscanini al pianoforte e - forse la
sua immagine più conosciuta - Bernard Beren-
son che ammira la «Paolina alla Galleria Bor-
ghese
Michele De Luca
SCAFFALE
Carla Lonzi
RAPPORTI TRA LA SCENA E LE ARTI FI-
GURATIVE DALLA FINE DELL'800
(a cura di Moreno Bucci)
Leo S. Olschki Editore
Dobbiamo d'altra parte certamenizio assegnato
za di Prampolini il notevole
pionieristicamente al futurismo, negli anni '50
ancora aborrito e negletto per i suoi traffici col
fascismo. Non cercheremo in questa tesi di lau-
rea una precisione cronologica, su cui l'autrice
all'epoca non sempre poteva contare per l'as
senza delle ricostruzioni filologiche di cui oggi
invece disponiamo noi. È un po' un peccato del
resto che, se da un lato si è conferito allo studio
della Lonzi una ricercatezza editoriale ed una
ricchezza iconografica che certo l'originale non
aveva, dall'altro lato si è scelto di mantenere
inalterate le appendici, che ineluttabilmente la
datano all'epoca in cui fu scritta e le impedisco
no di proporsi oggi a pieno titolo come testo di
studio. Ricco di notazioni e di godibile lettura,
spesso si fa apprezzare per il linguaggio fre-
mente di fulminee intuizioni, nitido, rapido ep-
pure anche talora, come in un breve commento
su De Pisis (p. 100), vivo, sembrerebbe, dello
stesso respiro della pittura che si propone di
commentare. Uno di quei trasalimenti dello
sguardo, e del linguaggio, di cui fu maestro Ce-
sare Brandi
Patrizia Veroli
Inge Bondi, Cornell Capa, Henri Cartier-
Bresson
CHIM. LE FOTOGRAFIE DI DAVID SEY-
MOUR
Federico Motta Editore
Un'eccezionale abilità nell'inquadratura ed una
profonda partecipazione umana e sociale con-
notano il lavoro di David R. Seymour (Varsavia
1911 - Suez 1956), uno dei più grandi fotografi
di tutti i tempi, protagonista, insieme a Robert
Capa e a Cartier-Bresson, di quella irripetibile
stagione del foto-giornalismo che si ricollega al-
la nascita e all'esperienza della Magnum Pho-
tos.
A Seymour, che soleva firmarsi «Chim» (abbre-
&
"... quello che noi chiamiamo con il nome
di fantastico occupa il lasso di tempo di
questa incertezza. Questa definizione di
un genere per sua natura mai pienamen.
te definito da leggi certe ci è data da Tzve-
tan Todorou, critico bulgaro, in un saggio
del 1970. Da allora, in molti si sono occu-
pati del fantastico in letteratura, nel cine-
ma o nel fumetto. Stranamente, però, un
silenzio vagamente sinistro sembra avere
avvolto quel genere di pittura che si nutre
delle stesse pulsioni o delle stesse spinte.
Silenzio spezzato soltanto dal bellissimo
saggio di Giuliano Briganti del 1977 de-
dicato ai pittori dell'immaginario, e da
qualche mostra che, ogni dieci anni circa,
cerca di affrontare in maniera più o me-
no approfondita l'argomento. Ora, per la
prima volta, con l'istituzione di una
Biennale di figurazione fantastica e me-
ravigliosa, si mettono le basi per affronta-
re sistematicamente l'argomento. Il luogo
scelto per la manifestazione è lo straordi-
nario e inquietante castello dei Conti
Guidi a Poppi, vicino ad Arezzo, ribattez-
zato per l'occasione con il suggestivo no-
me di Castello dei visionari".
Alessandro Riva: Un fantasma si aggira
per l'Italia. E' quello della pittura fanta-
stica. Diventata Biennale ("Arte", Milano,
ottobre 1997, p. 29).
Evidentemente il collaboratore di "Arte"
non sa che sin dal 1960 Arturo Schwarz or-
ganizzava mostre di arte fantastica, cosi co-
me faceva, dal 1967, Renzo Margonari, che
la nostra rivista è nata nel gennaio 1975 co-
me "Quadrimestrale d'arte fantastica" e co-
me tale è stata premiata a Bruxelles nel
1978; che, oltre a Briganti, molti altri hanno
scritto di arte fantastica, da Carluccio a Ja
nus, da Romeo Forni al nostro coordinato
re, che nel 1975 curò al Forte Belvedere di
Firenze il XXII Fiorino - guarda caso intito-
lato Aspetti dell'arte fantastica, oggi - e
nello stesso anno ha dato alle stampe, per i
tipi degli Editori Riuniti di Roma Le realtà
del fantastico. Arte fantastica in Italia
dal dopoguerra a oggi e nel 1982, per la
Collana "Terzo Occhio". Il fantastico ero-
tico,
Se si mette in contatto con la nostra reda-
zione gli doneremo un elenco di mostre
d'arte fantastica organizzate almeno negli
ultimi 38 anni (da "Arte fantastica italiana"
organizzata da Schwarz nell'ottobre del
1960 - presentata in catalogo da Emilio Ta
dini - alla grande manifestazione "Du Fan-
tastique au Visionnaire - La pittura e la
scultura fantastica e visionaria" Le Zitelle,
Venezia 1994 - con testi di Michel Random
e Giorgio Di Genova).
Potrà cosi rendersi conto che le mostre di
arte fantastica non sono state tenute ogni
decennio e che il silenzio è solo dovuto alla
sua pigrizia e alla sua scarsa conoscenza
storica. (p.b.)