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Mostre a Venezia, Oggetto 26

Carla Lonzi[1956] - [1964]

La Galleria Nazionale

La Galleria Nazionale
Roma, Italia

Presente articolo dattiloscritto in tre versioni sulla Biennale di Venezia nonché il testo pubblicato Carla Lonzi, Una categoria operativa, «Marcatrè», n. 8/10, 1964, pp. 190-193. Sono conservati anche l'elenco delle opere dell'Argentina, una brochure degli artisti del padiglione giapponese della XXVIII Biennale, un ritaglio stampa con la fotografia di Vedova, Consagra, Castellani, Pepper, De Martiis, Sophie Consagra nella sala di Mimmo Rotella alla Biennale ed una piccola guida su Venezia.

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  • Titolo: Mostre a Venezia, Oggetto 26
  • Creatore: Lonzi Carla
  • Data di creazione: [1956] - [1964]
  • Trascrizione:
    Carla Lonzi Se il termine di informale ha favorito il divulgarsi delle opere degli artisti del dopoguerra sotto una luce forse troppo gene- ralizzata, ma non incompatibile con una giusta impostazione del problema, è prevedibile che i termini di new-dada e di pop-art creino il terreno adatto a interpretazioni socio-ideologiche, delle quali in Italia abbiamo avuto un buon assaggio. Specialmente i critici d'arte provenienti da altri settori culturali non si sono risparmiati in tal senso e il binomio di mass-media in corsivo saltella nelle loro paginette con la frequenza di un lampeggiamento pubblicitario. I nostri moralisti, ansiosi di applicare il loro veto o il loro benestare (e talvolta, persino, il loro illuminato consiglio), si sono subito chiesti se un'arte che facesse ricorso a oggetti e immagini preesistenti, frutto di una civiltà tecnologica, dovesse interpretarsi come una denuncia di detta civiltà oppure come una colpevole accettazione di essa, mentre per un'accettazione non colpevole si sono mostrati propensi in pochi. Guttuso, pro domo sua, ha creato un parallelo tra pop-art (pop è un'abbreviazione di popular) e realismo socialista, senza peraltro guadagnarsi la riconoscenza della Pravda e dei suoi compagni di partito. Quelli francamente scoccati hanno tro vato piú confortevole e europeo aspettare i benefici di una nuova figurazione di là da venire, per il momento compendio di tutti i velleitarismi; altri, addirittura, hanno scoperto che un gruppetto di pittori romani poteva considerarsi «oltre la pop- art. Una minoranza di fedeli al dada storico vive nella convinzione che tutto ciò che sta accadendo (e accadrà) nell'ambito dell'oggetto non può che essere ripetizione e volgarizzazione di un gesto all'origine squisitamente di élite. La Biennale di Venezia, offrendoci un eccezionale campionario e di new-dada e di pop-art e di nuova astrazione, ha reso subito evidente la sfasatura di un parlare sociologico privo di legami con un metodo di lettura del linguaggio pittorico, verità in altri settori - almeno teoricamente acquisita. Se i pittori surrealisti hanno rotto la logica di costituzione e di incontro delle immagini a favore della casualità, spetta agli informali l'aver applicato alle tecniche stesse della pittura un principio di realizzazione che dipendesse strettamente dalla nozione di inconscio. Questo principio di realizzazione fu, in forme diverse e variamente applicate, l'automatismo. Ad esso, vero strumento di liberazione nel quindicennio tra il '40 e il '55, si possono far risalire conquiste fondamentali per lo sviluppo dell'arte moderna. Chi, ancora oggi ne parla, o peggio ne scrive, come di un ultimo ottocentismo e, sem- plicemente, un asino. Non esiste movimento valido che non ne sia debitore, al punto che le prospettive delle nuove ricerche artistiche appaiono proporzionali all'ampiezza di significato da esse attribuita all'informale. Quando si parla di una fine del- l'informale si intende propriamente la fine della funzione liberatrice connessa al comportamento automatico nella pittura. Infatti, quei valori di concretezza pittorica che l'informale aveva scoperto come valori autonomi da ogni riferimento a signi- 190
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