Nella diffusa pratica contemporanea di consultare i siti web in cui l’architettura viene pubblicata e consumata, le miniature hanno la capacità fatale di omogeneizzare completamente livelli diversi di complessità: la presentazione di un rendering (dove tutte le variabili possono essere controllate dall’autore) diventa equivalente a un’opera costruita (dove nessuna variabile è controllata dall’autore). C’è un motivo per cui un’opera, se non è costruita, non conta. Un’installazione pseudo-artistica viene presentata accanto a un edificio istituzionale complesso, mentre tutti sappiamo che avere l’idea è facile, il difficile è realizzarla. Una casa è mostrata come qualcosa di non molto diverso da una mera abitazione. Tale omologazione non è in grado di cogliere la differenza di energia impiegata per il controllo della qualità durante il processo di costruzione.
Ma, di tanto in tanto, ci sono momenti avvincenti in cui un edificio si distingue dalla varietà uniforme che si trova nei siti web. Come quando il passaggio da un’idea alla realtà avviene con un tale livello di perfezione che rende difficile distinguere tra un rendering e una fotografia. Se tale livello di padronanza si riferisce non a un’abitazione privata ma a un edificio pubblico, si può solo immaginare la quantità ossessiva di lavoro che è stata necessaria per realizzarlo. È questo il caso del Teatro shakespeariano di Renato Rizzi a Danzica. Il progetto, che sta a metà strada tra un edificio e una macchina, proietta un livello di impegno straordinario, un disegno intenso, una maniacale attenzione ai dettagli e una profonda conoscenza delle costruzioni. Tutto ciò è raro e insolito nel mondo contemporaneo, dove normalmente si riscontra una logica riduttiva (dei costi, definita economia, o di tempo, definita efficienza) o una logica eccessiva (esibizione del potere o dell’ego). L’architettura di Renato Rizzi ci fa pensare a una logica diversa che ha dato origine a molti punti fermi della storia dell’architettura: quella dell’intensificazione della realtà.
È sempre edificante e gratificante trovare un collegamento mancante nella storia della pratica dell’architettura, quando l’impegno e la professionalità sconfiggono la banalità e la mediocrità. Simili momenti sono un contributo inequivocabile alla qualità della vita pubblica di una città e rivelano una sorta di condizione sacrale, nonostante la laicità del programma.