La tela era stata commissionata, assieme all’Angelo della vita, dal collezionista e agente di cambio Leopoldo Albini, presumibilmente prima del 1891. La figura femminile effigiata risente verosimilmente di prototipi del Rinascimento veneto, dalla Venere di Dresda di Giorgione e Tiziano alla Venere di Urbino di Tiziano.
Il dipinto, nella forma ovale in cui si presenta attualmente, è il risultato di interventi successivi alla prima stesura del 1894. Presentata in quell’anno alla mostra personale di Segantini presso il Castello Sforzesco, la Dea pagana o Angelo dell’amore, doveva costituire un pendant con l’Angelo della vita con il quale condivideva la forma della cornice e lo sfondo di paesaggio montano, come documentato da fotografie d’epoca.
A seguito di alcune critiche fu Segantini stesso ad intervenire con la prima ridipintura: la figura di donna, originariamente nuda, venne ritenuta sconveniente, pertanto l’artista elaborò l’avvolgente panneggio rosso che la copre e che si fonde con la folta capigliatura bionda. Una porzione estesa del paesaggio fu inoltre coperta con oro brunito, incorniciando l’immagine con la forma ovale che il dipinto presenta ora; infine sopra a questo strato d’oro sarà applicata negli anni Trenta del ‘900 l’elaborata cornice dorata.
Venduta alla Galleria Alberto Grubicy entro il 1899, la tela passò da questa alla collezione di Ercole Vaghi, che la donò alla Galleria d’Arte Moderna nel 1927.