garot signi-
L'
opera di Paolini, quale si è svolta dal '59 in avanti, mi sembra quella che di tutti
i giovani pittori italiani/segnano la fine della mentalità del dopoguerra (come tax li
COXX Restany), ha lantenuto con maggiore coerenza le premesse del suo lavoro. Gli
artisti del dopoguerra, infatti, hanno vissuto la contraddizione fra un'educazione che
li aveva abituati a sentire la pittura come un valore "plastico" che
ficato particolare dell'attività artistica e il dubbio che questa garanzia fosse in so-
stanza paralizzatrice, limitasse quella libertà di azione che permetteva realmente di a-
derire alle nuove necessità espressive. E' stato il grande merito dei giovani (Schifano,
Festa, Lo Savio, Angeli, e qualche altro) che hanno cominciato a esporre verso il '60
(lostra, da Liverani alla Salita, at Premio Lissone) aver iniziato la loro opera
fuori da questo dubbio rispondendo semplicemente a delle sollecitazioni e a degli umori
che non avevano bisogno di appoggiarsi a quel luogo spirituale che l'arte è stata anche
per i più disinvolti dei primi artisti di questo secolo. In un'attività come questa la
creazione artistica non ha più nulla di quella lotta prometeica dello spirito contro la
sordità della materia: il che in fondo era una lotta contro quella concezione astratta
della vita che ne voleva fissare i tanti valori al difuori del suo stesso scorrere. Per
Paolini questo scorrere, questo essere vitale della vita per il tempo che la fa, è il da-
In un'epoca come questa in cui si pone un problema non di livello, ma di direzione di
vita, a tal punto che fare della pittura racchiude l'interrogativo del perchè di una
tale attività, risulta difficile anche ai temperamenti più disinvolti esimersi dal ri-
chiedere da parte dell'artista un livello qualitativo in cui si continua a vedere una
garanzia e una giustificazione. Ora non è una novità affermare che questa garanzia e
questa giustificazione sono ancora le più semplificatrici, in sostanza le più pigre
delle abitudini ereditate dal passato. Infatti, se si guarda all'ultimo mezzo secolo di
pittura, ci si accorge che artisti come Duchamp, Schwitters o Ernst, se sono giunti al-
l'alto grado del capolavoro, ci sono giunti per via indiretta; e che il loro problema
immediato è stato quello di rispondere alle sollecitazioni del loro tempo e della vita,
nella maniera più scoperta. E appunto Essi per questo essi sono apparsi per tanti anni
in una luce poco convincente e perfino ambigua rispetto ad un Picasso o ad altri che,
gonymi nutrivano in maniera esplicita, direi esclusiva, l'ambizione del capolavoro.
Una delle ragioni che rendono terribilmente impegnativo seguire oggi il lavoro dei pit-
tori è che la via battuta da un Picasso sembra diventata anacronistica, e che per con-
tro un panorama generale di artisti per i quali l'attività del dipingere sia un prolunì
gamento del vivere ha un che di poco rassicurante: si è troppo esposti a sbagliare. Co-
me giudicarli infatti questi pittori se non ci si può mettere davanti alle loro opere
servendoci della nostra sensibilità ricettiva come di una specie di misuratore di quali-
tà? E che gusto c'è se non si può avere l'avventura e la vanità di individuare ogni tan-
to il capolavoro, e scommetterci sopra?
Sicchè non è l'ultimo problema dei giovani pittori quello di sfuggire alla cattiva tute-
la di quegli adulti illuminati che facciano capire da qualche gesto impaziente che xane
dişinyoltura
di è divertente fino a un certo punto, poi bisogna assumere quella certa auste-
rità che porta diritto al capolavoro. La qualità maggiore che un giovane pittore possa
manifestare è di non lasciarsi prendere dal nervosismo davanti a reazioni di questo ge-
nere. Le sue facoltà devono essere non tanto quelle del rigore intellettuale, o ancor me-
no della sensibilità estetica, quanto quelle di una vitalità che sia un dono così conna-
turato da escludere ogni dualismo fra vita e opera (che poi il superamento fix del duali-
smo fra vita e intellettualità è il grande problema , a tutti i livelli, del mondo con-
temporaneo).