La prima rappresentazione di questa ruota a sbilanciamento di origine arabo-indiana si trova nel taccuino dell’architetto del XIII secolo Villard de Honnecourt. Dopodiché non la si ritrova in altre fonti prima del disegno di Taccola qui analizzato, della prima metà del Quattrocento. Il suo principio di funzionamento è sviluppato sulla base della teoria della bilancia presentata nei Problemi di Meccanica attribuiti ad Aristotele, poi diffusasi nella statica medievale della tradizione de ponderibus. I bracci di cui è composta la macchina sono articolati in due sezioni, in modo tale che la chiusura di uno di essi determini uno squilibrio nel sistema. In questo modo viene indotta una rotazione fino a una nuova condizione di equilibrio; essendo la ruota composta da sei coppie di bracci, la sequenza delle condizioni di non equilibrio avrebbe generato un moto perpetuo. Questo disegno, riprodotto anche nella carta 71v del manoscritto anonimo Add. 34113 oggi alla British Library, viene mutuato dal giovane Leonardo, il quale probabilmente ne vede una copia a Firenze durante gli anni Settanta e ne esegue uno schizzo nel foglio 1117rb del Codice Atlantico, che costituisce uno dei suoi primi riferimenti al moto perpetuo.