Mestamente assorta in riva al mare, la popolana di Venanzo Crocetti ha gli occhi persi nel vuoto e le labbra serrate, forse a ingoiare una velata tristezza.
È la malinconia dell’artista che scolpisce i suoi ricordi infantili quando, ancora piccolo, giocava per le strade del paesino abruzzese dove viveva, disegnando con il carbone nero piccole opere d’arte sui muri di gesso bianco e sulle pareti della sua casa. La spensieratezza di quei giorni viene interrotta bruscamente da una serie di lutti che lasciano Crocetti
orfano di entrambi i genitori all’età di dodici anni, costringendolo a trasferirsi nella capitale in cerca di fortuna.
Qui riesce ad avviare la sua attività artistica, rimanendo
completamente estraneo alle istanze avanguardiste
dell’epoca e privilegiando una genuina scultura di mestiere e tecnica, di emozione e memoria. Testo di Cristina Antonia Calamaro