Opera celeberrima del pittore manierista Jacopo da Pontormo, riportata all’attenzione, dopo secoli di oblio, nel 1952 dallo storico dell’arte Roberto Longhi,che sulle pagine di “Paragone”, con la sua prosa quasi poetica, così la descriveva: «Nella misura slungata, manieristica, della tavola, la figura di garbo sottile, longilinea anch’essa, occupa quasi tutta l’altezza a disposizione, come un liuto nella custodia. E dalla custodia dell’ombra astratta sguscia in luce come un uovo la testa intelligente e patetica, sotto quel berrettino da nulla; il dorso della mano destra, pendula, sembra scorzato, come se il guanto che essa reca ne fosse la pelle (si chiamasse, il modello, Bartolomeo?); nell’altra mano scatta il libro aperto, fermato dalla luce forte come in un naturalista d’età più tarda».Alla disimpegnata raffinatezza del gentiluomo ritratto corrisponde la quasi monocromia della tela, da cui risaltano solamente le labbra rosse e la camicia azzurra. L’identità del personaggio, ancora incerta, va ricercata probabilmente tra i letterati dell’Accademia Fiorentina o tra i membri di spicco della corte medicea.