Il ritratto è indubbiamente una delle opere più singolari dell’artista. Non si conosce l’identità della dama e l’appellativo di Schiava turca gli fu dato a partire dal ‘700 per i riferimenti esotici dell’abbigliamento. L’abito che indossa è comunque disegnato secondo la moda in uso in area settentrionale attorno al terzo decennio del ‘500, come pure l’acconciatura a rete di fili d’oro, un balzo simile ai copricapi ideati da Isabella d’Este. In precedenza la tavola si trovava agli Uffizi, proveniente della raccolta del cardinale Leopoldo de’ Medici (ante 1675) e attraverso una permuta passò a Parma. Il fascino che suscita il sorriso malizioso e accattivante della dama, forse prossima alle nozze, è una componente della personalità creativa di Parmigianino; un pittore che cerca nella natura delle cose la bellezza, astraendola e idealizzandola secondo precisi, individuali canoni di perfezione. I colori sono luminosi e l’incarnato è di porcellana. La maniera con cui l’artista rende preziosi i tessuti e il piumaggio del ventaglio sono il processo di una elaborazione mentale e tecnica. La figura è costruita nello spazio limitante della tavola attraverso la relazione di forme chiuse, circolari. Tutto sembra dipinto per comunicare attraverso gli occhi cristallini della dama un messaggio comprensibile a pochi adepti. Il quadro va collocato verso il 1532, negli stessi anni in cui stava a Parma e studiava la decorazione per la Steccata, esempio ultimo delle sue ricerche tecniche.