Ritratto di Santina Zamiri Bianchi

Santina Zamiri Bianchi, abbandonata dalla madre alla nascita, è una "colombina": così venivano soprannominate le esposte milanesi, con riferimento alla colomba che compare nell'insegna dell'Ospedale Maggiore, ente dove i neonati venivano abbandonati e accolti. Data in affido a una famiglia di contadini di Brebbia (Varese), sposa un venditore ambulante e lei stessa fa la "pattera", cioè compra e rivende abiti usati nei mercati. I due riescono a raggranellare un piccolo capitale e a avviare una modesta impresa commerciale familiare, al punto che, nel 1936, rimasta vedova, nel testamento può destinare 100.000 lire all'Ospedale. Pur avendo diritto al ritratto a figura intera, preferisce, per modestia, la misura inferiore. La commissione viene affidata a Piero Todeschini, artista da lei espressamente richiesto. La Commissione Artistica dell'Ospedale gli chiede numerose modifiche, e tuttavia accetta poi il dipinto continuando a criticarlo, soprattutto nell'impostazione generale "che manca della nobiltà richiesta per la Quadreria Ospedaliera". In una fotografia d'epoca, conservata nell'Archivio dell'Ospedale, appare il dipinto nella sua prima stesura, quando ancora vi comparivano un tendaggio e un quadretto rotondo, raffigurante il cortile centrale dell'edificio sforzesco e la poltrona presentava una foggia diversa. L'opera modificata è indubbiamente più chiara e incisiva e mette meglio in risalto la figura della benefattrice, plasticamente ben costruita.