Sofia Gervasini nel 1911 dona in vita tre case milanesi di sua proprietà all'Ospedale Maggiore, per un valore di circa 400.000 lire, chiedendo per sé un modesto reddito annuo. Prima di morire, nel 1931, annulla il testamento a favore dell'Ospedale, destinando erede la Congregazione di Carità (oggi ASP Golgi-Redaelli), contrariata che in tutti quegli anni la Ca' Granda non avesse provveduto di propria iniziativa a adeguare il vitalizio e a commissionare il ritratto. Seppur tardivamente, si affida l'incarico a Umberto Lilloni, fondatore dei "Chiaristi milanesi", che ha come modello una foto giovanile della benefattrice durante una vacanza in Liguria, tra Lavagna e Sestri Levante e la rappresenta come semplice elemento cromatico in un paesaggio luminoso, preponderante rispetto alla figura. Criticato dalla famiglia e dall'esecutore testamentario che in una lettera lo definiscono "non decoroso per la defunta", il quadro viene ritoccato dall'atista secondo le indicazioni date dai parenti; ma questa volta, contro il parere positivo della Commissione Artistica dell'Ospedale, il Consiglio ospedaliero lo giudica "in contrasto con le speciali esigenze cui deve rispondere la raccolta dei ritratti dei benefattori, nella quale la scuola moderna è più largamente rappresentata". L'opera appare ancora forse troppo naive e bidimensionale e Lilloni si dichiara disposto a eseguire un nuovo ritratto "secondo la sua prima maniera" (più affine al gusto di "Novecento"). Anche il secondo quadro non ha miglior fortuna, pur avendo il pittore cercato di dare maggior rilievo alla figura della benefattrice, rappresentata più giovane e con un viso più dolce, e aver sostituito le verdeggianti colline disseminate di case con un'ampia veduta del golfo e della spiaggia, in un trionfo di sfumature azzurre. Quindi, per buona pace dei parenti, un terzo ritratto verrà commissionato a Giulio Cisari. Un altro ritratto della benefattrice, commissionato dalla Congregazione di Carità a Umberto Lilloni, si trova nella Quadreria dell'ASP Golgi-Radaelli.