TERRORISMO/DOPO LE MINACCE DI CURCIO prato della cascina Spiotta o che la
nappista Anna Maria Mantini era stata
assassinata con una pallottola in fronte
quando poteva essere semplicemente
ammanettata, in alcuni rapporti dei ca-
rabinieri sono stato indicato come un
"fiancheggiatore" da tenere bene d'oc-
chio. Poi, quando nel '74, l'epoca del
sequestro Sossi (vedi "L'Espresso"
n. 20 del 1974), le Br mi concessero
l'unica intervista "ufficiale" della loro
storia (allora i capi liberi ed operanti
erano proprio i Curcio, i Franceschini
e i Ferrari) e quando, un anno più tar-
di, intervistai Curcio detenuto nel car-
cere di Casale Monferrato (vedi "L'E-
spresso" n. 9 del 1975), i "sospetti" su
di me aumentarono. Fastidiosi sospetti
(controlli telefonici, battute, interroga-
tori insistenti) da parte di persone che
ignorano o fanno finta di ignorare che
il mestiere di giornalista consiste nel
raccontare il più possibile i fatti come
sono e nel far parlare i protagonisti in
prima persona.
Adesso le minacce arrivano dall'al-
tra parte. In realtà, superato lo stupo-
re, il motivo di questi attacchi si ca-
pisce bene ed è sempre lo stesso: l'aver
raccontato i fatti. Ossia l'aver, raccon-
tato, e tentato di interpretare, il dibat-
tito, le discussioni, le spaccature che
da più di un anno travagliano il fronte
Se permettete, non
cambierei mestiere
di MARIO SCIALOJA
In un suo recente documento, il capo storico delle Br
ha comminato "una buona razione di piombo"
al nostro redattore, di cui non condivide il tono degli
articoli sul terrorismo. Scialoja, chiamato così
rudemente in causa, risponde in queste pagine
Roma. Quando il documento firmato
da diciassette brigatisti incarcerati all
Asinara è arrivato alla redazione dell'
"Espresso", il numero di Ferragosto
era già in macchina ed io ero in ferie.
Ho appreso dunque dai giornali che
con Enrico Deaglio (direttore di "Lot-
ta continua") e Carlo Rivolta (della
"Repubblica") sono uno giorna
listi, indicati come « consulenti della
controguerriglia », cui viene minaccia-
ta «una buona razione di piombo >>
L'improvvisa dichiarazione di malevo-
lenza (c'è chi l'ha definita "condanna
a morte") da parte di gente come Re-
nato Curcio, Alberto Franceschini, Ro-
berto Ognibene, Maurizio Ferrari e
compagni non è certo notizia che met-
te allegria, né cosa da prendere tanto
sotto gamba. Timore? E perché no?
Non sarei sincero se non ammettessi
di provare anche qualcosa di simile:
troppo spesso in questi anni ho scritto
e dimostrato che le minacce, gli slo-
gan, i progetti delle Brigate rosse van
no, il più delle volte, presi alla lettera.
Certo chi "constata" che merito piom-
bo si trova rinchiuso nel supercarcere
dell'Asinara, ma le parole dei capi sto
rici Br sono scritte proprio per essere
raccolte dai militanti esterni.
Che fare? Armarsi, blindarsi, farsi
scortare? Tutte cose che rovinano l'esi-
stenza e quasi sempre sono assoluta-
mente inutili. Cambiare mestiere? Se,
per tutti altri motivi, a volte potevo
essere tentato di farlo, adesso che ci
si mette Curcio questa scelta non è più
praticabile. Un minimo di dignità ogni
tanto ci vuole. Allora? L'unica solu-
zione mi sembra sia quella di conti-
nuare esattamente come prima: speran-
do bene e guardando a destra é a si-
nistra prima di attraversare la strada.
A rischio di apparire ingenuo vorrei
però confessare che di fronte alla mia
condanna" da parte dei capi Br ho
provato soprattutto stupore. Perché ce
l'hanno tanto proprio con me? E' vero,
da circa sette anni su questo giornale
scrivo di Brigate rosse e lotta armata,
l'
ma mi sono sempre sforzato di farlo
onestà e nel modo
meno superficiale e convenzionale pos-
sibile: non per simpatia verso l'estre-
mismo armato, ma, forse, oltre che
per dovere professionale, anche per un
costituzionale sentimento di antipatia
verso le "verità ufficiali" e le arroganze
legali. anto che da più parti mi sono
piovute addosso accuse di "filo-briga-
tismo". Dopo aver raccontato, per
esempio, che Margherita Cagol era sta-
ta finita quando giaceva già ferita sul
Renato Curcio
Hide TranscriptShow Transcript