lan Stefanie –, il cui aetco era stato
abbattuto un mese prima della data
in cui dovevano sposarsi - ed ora
aveva deciso di dedicare tutte le sue
energie alla causa antifascista. Gli
amici la chiamavano affettuosamen-
te "la Pizia", per i suoi poteri divi
natori, qualche volta frutto soltanto
della sua immaginazione ma anche
qualche volta veri.
na antifascista. Giuliana, molto gra
ziosa in gioventù, aveva perso il suo
fidanzato - l'eroe cecoslovacco Mi-
Ed ora, dopo l'arrivo a Roma de
Elena e i miei amici
di Iris Origo
ELENA CROCE, Due città. Adel
phi, Milano 1985. Pp. 106. Lit.
7.500
Le due città sono, come dice l'au-
trice, Napoli, dove è nata, e Roma.
dove sono cresciuti i suoi figli. A suo
parete, mentre il centro storico di
Roma è stato defraudato del suo
aspetto originale diventando uno
shopping center, quello di Napoli
(malgrado le vie degli alberghi lun-
go mare) ha conservato a lungo, il
suo carattere di quartiere piccolo-
borghese dove la presenza di una
grande università, e il tribunale di
Castel Capuano, trattenevano anco-
ta negli antichi palazzi una mino-
ranza di alta borghesia e di intellet.
tuali e professionisti". Cosi Napoli
restava una città ricca di fascino e di
mistero".
L'autrice ha ricordi piuttosto esi.
gui dell'alta società, ossia della clas-
se napoletana ancora non dissangua
ta dalle emigrazioni. Ricorda il cir-
colo del tennis, che nel novecento
era stato una roccaforte della gio-
ventù dell'alta società napoletana",
Iscriversi al tennis, scrive, era come
vedersi ammessi e tollerati in una va
stissima famiglia di cugini - delle
jeunes filles en fleur" bellissime c
dei giovani alti, bruni, ignoranti ed
eleganti: "la loro conversazione in
cattivo italiano con un forte accento,
non era meno ermetico ai non ini-
ziati di quella delle ragazze evocate
da Proust". Da piccola era stata con-
dotta ad assistere a qualcuna delle
loro recite di beneficenza, che consi-
stevano in quadri viventi (da "Giu-
lietta e Romco" a "Carmen") oppu.
re delle nove Muse, vestite in pepli
rosa e celeste con lunghi e pesanti
boccoli, che le sembravano bellissi-
mc.
Molto più tecri degli antichi pa-
lazzi nobiliari, erano in genere quel
li costruiti dalla grande borghesia ot-
tocentesca
A Napoli la cultura d'aise aveva
un solo recapito ed un solo rappre.
sentante assoluto: l'editore Riccardo
Ricciardi. Nel suo ufficio si riuniva
un piccolo gruppo di intellettuali bi
bliofili, che egli intratteneva facen-
do di propria mano i pacchi dei suoi
libri. Le sue edizioni - desideratis-
sime dagli autori ed amatori - veni-
vano terminate da lui con un'im
mensa pigrizia, che egli imponeva
con crudelta implacabile.
Dopo il 25 luglio (1943) Elena era
partita per Napoli per vedere la sua
famiglia a Sorrento, ma credeva di
potersi trasferire in Piemonte, dove
aveva lasciato i suoi due figli. Ma so-
pravvenne lo sbarco alleato a Salerno
a "dividere l'Italia in due". Ed Elena
per proteggere suo padre, Benedetto
Croce, dal rischio di rimanere in un
territorio ancora controllato dai te-
deschi, lo convinse a trasferirsi con la
sua famiglia a Capri, dove era pro
tetto dal comandante Munthe (figlio
del celebre medico svedese Axel
Munthe). E li le racconto di un ser-
gente delle Special forces che gli ave-
va domandato se il Benedetto Croce
da mettersi in salvo, fosse una nave!
Dopo il suo ritomo a Roma, Elena
sperava di poter continuare la rivista
letteraria, Aretusa", che aveva pro
dotto con suo padre, con Vitaliano
Brancati, con alcuni intellettuali in
glesi ed americani di passaggio e
molti profughi italiani arrivati a pie
di attraverso le linee - tra i quali
Moravia, Antonio Rossi, Malaparte,
cd il direttore della rivista, Francesco
Flora. Tornata a Roma, Elena aveva
offerto "Aretusa" a Carlo Muscetta
che l'accetto. Ma intanto viene pro.
posta una nuova attività da Giuliana
Benzoni "tessitrice laboriosa di ben
intenzionate cospirazioni politico-
diplomatiche nell'ambiente della
minoranza dell'antica nobiltà italia-
Tullio Pericoli: Benedetto Croce
AA.VV., Il dialogo. Scambi e
passaggi della parola, a cura di
Giulio Ferroni, Sellerio, Palermo
1985, PP. 260, Lit. 20.000
N. 9
L’INDICE pag. 10
Affrontare il tema del dialogo,
tentare di definire il campo seman-
tico, dalle accezioni più specifica.
mente linguistiche a quelle più
estensive e metaforiche che oggi
questo termine comporta, non è im-
presa da poco. Secoli di cultura han.
no contribuito a stratificare nell'uso
collettivo una serie di significati per
dialogo, dialogare, dialogismo, dia
logicita: dall'etimo greco che impli
ca necessariamente una nozione di
interazione comunicativa, all'omo-
nimo genere letterario e filosofico
(da Platone in poi), al principio
dialogico" di Bachtin. Un concetto
gli alleati proponeva ad Elena di co-
stituire un circolo di cultura per gli
alleati, e per questo di ottenere
l'adesione di Marguerite, Principes
sa di Bassiano. Era, infatti, la perso-
na ideale per questo compito di ori-
gine americana (cra la cognata di
Francis Bildle, ministro della giusti-
zia di Roosevelt e giudice del Tribu-
nale di Norimberga), era conosciuta
a Parigi come mecenate e promotrice
di una rivista internazionale di alta
qualità, "Commerce", ed inoltre era
la moglie di uno dei mari rappresen-
tanti dell'aristocrazia romana che
fosse antifascista
Per due anni il circolo, chiamato
"Il ritrovo, improvviso una serie di
iniziative: conferenze, mostre d'ar
Dialoghi sul dialogo
di Mariella Di Maio
lo
te, concerti, dibattiti, cene, ma pur
troppo (come ricordo anch'io
scopo fondamentale del ritrovo -
quello di aiutare gli ospiti alleati e
gli intellettuali italiani a capirsi a vi.
cenda - non funziono. Gli alleati,
come gli italiani - malgrado tutti
gli sforzi di Marguerite e di Giuliana
continuavano a parlare solo fra di
loro. E forse, nel caso degli alleati,
contribuiva alla mancanza di cordia-
lità c di allegria l'estremo scettici
smo per quel che riguardava le be-
vande (vi si poteva consumare solo il
the,
anche se con dolci squisiti)
Cosi, dopo un paio d'anni, l'inizia-
tiva non aveva più una ragione di
esistere, c "Il Ritrovo chiuse le sue
porte.
quest'ultimo - come è noto - on-
nicomprensivo: nel pensiero bachti-
niano il dialogismo non è solo privi-
legio dell'intersoggettività linguisti
ca
e delle forme letterarie decentrate
polifoniche, ma fa perno su una vi-
sione antropologica che istituziona
lizza un principio di conoscenza"
(soggetto a soggetto/i) e abbraccia
l'intero ambito delle scienze umane.
Dall'uso filosofico (e gli esempi
sarebbero molteplici) all'uso correo-
te e codificato del termine: la "Chic-
sa del dialogo", il "dialogo fra le
grandi potenze", un dialogo tra
,
sordi" e cost via, si giunge fino ad
interrogarsi sulla possibilità di accet-
tare neutralmente quella nozione di
interscambio comunicativo alla pari
che sembra prevalere nelle ipotesi
più ottimistiche. Si può parlare di
dialogo, per esempio, all'interno dei
rapporti di potere (servo padrone,
maestro discente, medico-pazien
te)? O in un interrogatorio in que
stura? E, passando ad altro, si può
parlare di dialogo con un computer?
Come si vede, le domande potreb.
bero essere moltissime e rischiosa-
mente sventagliati potrebbero essere
i campi d'indagine anche perché la
parola in questione è spesso usata in
senso assoluto o troppo particolare,
seaza fare attenzione ai procedimen
ti di contestualizzazione sempre ine
renti ai suoi diversi impieghi.
Ma è poi legittimo dialogare sul
dialogo? Una risposta positiva sem
bra darcela questo volume colletti
vo, curato c introdotto da Giulio
Ferroni, volume nato da un conve-
gno a Maratea nel settembre '82 e a
cui ha partecipato un agguerrito e
qualificato drappello di studiosi ita-
Il ritrovo era chiuso, ma non
l'opera di Marguerite. Il ritratto di
Marguerite che ci ha lasciato Elena
forse la parte migliore del libro
Marguerite diventò la mecenate e la
fondatrice di una nuova rivista inter-
nazionale, Botteghe Oscure , per
scrittori giovani e finora sconosciuti
di ogni paese e di ogni lingua, di cui
pubblicava gli scritti accanto a quelli
dei più illustri anziani. La sua vivis-
sima curiosità per tutto quello che
cha nuovo era frenata solo dal fortis
simo ribrezzo puritano contro ogni
volgarita. Generosissima, non era
cieca nei confronti delle richieste
esagerate di alcuni giovani scrittori
di talento, ma continuava a pagare i
loro scritti alla pari degli scrittori più
celebri: Paul Valéry. Rilke, T.S.
Eliot, Virginia Woolf, Péguy, Ca-
mus, Malraux, Hoffmansthal, Silo-
ne, Giorgio Bassani, Ungaretti
“Tutto intorno a lei era incantevole:
la semplicità, i fiori, l'assenza di og.
getti mediocri, una raffinatissima
scelta di pittura moderna francese ed
italiana, un'ospitalità senza limiti
ed il riso di una ragazza di vent'an-
ni". Persino dopo lo scoppio della
seconda guerra mondiale queste riu-
nioni erano continuate, finché Nio-
fa divenne un rifugio per i partigiani
delle colline ed i contadini della pia.
nura. E proprio allora un grande do
lore colpisce Marguerite e Roffredo:
la morte, sul fronte albanese, del lo-
ro unico figlio Camillo. Un dolore
che aveva una speciale amarezza
perché era morto per un regime ed
una causa in cui non credeva. Dopo
la sua scomparsa T.S. Eliot (un cugi
no di Marguerite ed un grande ami-
co) le scrisse: "So che la tua perdita
non diverrà più leggera... Si impara
a continuare a vivere come se si fosse
diventati ciechi e mutilati, e non
credo nemmeno che la fede ci conso
la - ma, se posso dirtelo, può mi-
gliorare la qualità della nostra soffe.
renza, e renderla feconda, invece
che inutile
Cosi la pubblicazione di "Botte
ghe Oscure continuava, anche se,
col passare del tempo, diventava più
difficile per Marguerite fare fronte
alle spese sempre più alte. C'era in
lei, anche in vecchiaia, una gioventù
inesauribile che attirava verso di lei i
giovani scrittori. Ma nel 1960, dopo
la morte del suo stampatore ed ami.
co, Luigi de Luca, e la pubblicazione
del 25. numero, dovette portare a
termine la sua impresa. "La tua rivi-
Sta" le scrisse il poeta americano Ro-
bett Lowell, "fa parte della storia
dell'Europa che risorge dopo la di
struzione della guerra".
Successivamente Elena ci porta in
un ambiente molto diverso, quello
del celebre "re dei critici d'arte".
Bernard Berenson. Nella sua villa a
liani e stranieri esperti di letterature
antiche e moderne, filologi, filosofi
linguisti, semiologi, antropologi. E
sembra darcela proprio per la varie
gata diversità dei punti di vista e il
pluralismo delle metodologie. Il filo
d'Arizona è costituito dalla lunga e
sapiente introduzione del curatore,
abile nell'introdursi nelle pieghe del
discorso altrui (dialogando con i vari
autori e le varie posizioni), ma fer
mo e talvolta amabilmente provoca
torio nel tracciare un suo percorso
originale e nel demistificare cetti
equivoci di fondo. Il nodo centrale
su cui Ferroni ritora più volte è
quello per cui, nella nostra cultura
occidentale, il dialogo può assumere
le connotazioni positive dell'inter-
scambio della parola, del confronto
perenne, dell'uscita da se stessi e in-
sieme quelle della conferma e ricon-
ferma di una soggettività piena at-
traverso l'istituzionalizzazione,
nell'atto di parola, di un'alterita ne
>>
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