Vsi tratta di politiche che
alla Murare Paola Gaiotti De Biase. «Quel-
lo che è certo è che oggi c'è una nuova "vo-
glia” di maternità. Un'intera generazione di
femministe, che aveva rinunciato a questa
esperienza, la sta riscoprendo. Questa "vo-
glia” è un diritto che deve essere garantito
dalla politica».
La politica, cacciata dalla porta nel di-
scorso etico sul valore della maternità, vi
rientra dalla finestra: «Da tempo abbiamo
scoperto la politica dei valori e dei senti-
menti», spiega Alma Cappiello, responsabi-
le femminile
del Psi. «Dopo anni di sacrifici
in cui le donne hanno pensato soprattutto
ad essere presenti nel mondo del lavoro, gli
anni Novanta rappresentano la ricerca di
nuovi equilibri e di una nuova "voglia”
di
Samiglia
per questo c'è bisogno di politiche
miliari, anche nel caso delle convivenze e
delle unioni di fatto. Nella prossima legisla-
tura vogliamo far approvare il pacchetto di
leggi che comprende l'assegno di maternità,
le leggi sull'adozione e sull'affido e quella
sui congedi parentali». Insomma, un ripen-
samento del Welfare State, da parte sociali-
sta, che prevede servizi ma anche contributi
diretti, in un sistema flessibile, duttile, che
segua la crescente flessibilità delle scelte fa-
miliari. E non a caso, tra tante polemiche,
ecco spuntare diversi elementi di contatto
tra le proposte del Psi e quelle del Pds.
a non sarà vero, come ha scritto sul
"Manifesto" Roberta Tatafiore, che
supportano la famiglia per con-
sentirle di sopravvivere nella so-
cietà cosi com'è, rinunciando ad
ogni ipotesi di trasformazione?
Insomma, più chiaramente, non
si tratterà di un "tradimento"
del femminismo? Sentiamo Livia
Turco che provoco più di una
polemica, qualche mese fa, deci-
dendo di dare grande valore, in-
tanto, alla sua personale mater-
nità: «Mi rifiuto di discutere in
questi termini. Il problema è di
ripensare l'organizzazione della
società e del lavoro in funzione
della possibilità di maternità.
Nella cultura dell'azienda, pur-
troppo, la maternità è ancora un
impaccio, un ostacolo alla car-
riera. Occorre rivedere tempi e
orari di lavoro, secondo un siste-
ma flessibile che preveda, ad
esempio, congedi per entrambi i
genitori».
Ma finché si resta nel dibattito
politico il rischio di rimaner im-
pigliati in punti di vista troppo
unilaterali è sempre molto alto.
lo, figlia, la colpevole
di Francesca Archibugi
Mia madre era molto apprensiva: era il frutto della sua instabilità e del suo
nervosismo. Le facevano paura un sacco di cose: in macchina era tesissima, so-
spirava in continuazione. E io adesso faccio esattamente lo stesso... E dire che
quando lo faceva lei, mi faceva una rabbia, ma una rabbia... A Roma, siamo an-
dati a vivere a un nono piano: e io la sentivo, in ascensore, sempre in apprensio-
ne, sempre tesa, tesissima. E io, oggi, non prendo più l'aereo: vado in treno. E,
in treno, ho paura dentro le gallerie. Sono cose che mi sono venute dopo: adesso.
Prima, questo genere di preoccupazioni, erano lontanissime da me.
Oggi io mi sento assolutamente figlia di mia madre, nel corpo e nella testa...
Con qualche distinzione. Per esempio, le persone vivono con gli occhi aperti, o
con gli occhi chiusi: io sono con gli occhi aperti; mia madre era una creatura che
viveva con gli occhi chiusi. Andava a volo cieco; e questo mi ha sempre dato un
grandissimo dolore...
Non ho vissuto mia madre come decisamente distruttiva nei miei confronti. Ma
ambivalente, si. Perché non facevo quello che, secondo lei, avrei dovuto fare: pos-
sedere una Diane, studiare fino a venticinque anni, andare la sera al cinema con
gli amici, farmi la vacanza al mare. E insomma tuffarmi nel ceto medio: lei desi-
derava moltissimo tuffarsi nel ceto medio, e detestava la «vita spericolata».
Morta mia madre, sono andata in analisi. Eli sono riuscita a dirmi questa cosa
terribile: che da quando mia madre è morta, io sto meglio. C'è voluto del tempo
perché arrivassi ad ammettere una cosa come questa, con me stessa: significa an-
che accettare il proprio senso di colpa... Voglio dire: le malattie, nelle persone, ti
sembra sempre che vengano a causa di loro stessi, o perché altri hanno congiurato
a fargliele venire. E io ho pensato di essere «colpevole della malattia di mia ma-
dre: io, più dei miei fratelli, forse perché loro erano più tranquilli di quanto io non
fossi.
Adesso, dopo la morte della mamma, io sono diventata improvvisamente la
più tranquilla di tutti: ho subito impostato una vita matrimoniale. Ma fino a
ventidue anni, ho fatto una vita assurda: tornavo alle cinque, mi cambiavo,
riuscivo alle sei e mezzo del mattino, stavo
sempre in giro, sempre con gli amici, e il più
giovane di loro aveva sessant'anni. E mia ma-
dre che mi diceva: «Ma perché? Perché non
con i coetanei...». E io dai, a fare il contra-
rio: anche per farle rabbia.
Francesca Archibugi con i suoi figli
Vediamo allora se i dati di questa polemica
vengono confermati anche dai sociologi. E
proprio vero che in Italia si può parlare di
un nuovo diffuso desiderio di maternita?
«Nonostante il forte calo delle nascite>, di-
ce Antonio Golini, direttore dell'Istituto di
ricerche sulla popolazione, «sono molti gli
indizi che fanno pensare ad un crescente de-
siderio di maternità: in primo luogo nel no-
stro Paese la proporzione delle donne che
rimangono senza figli sta diminuendo. Inol-
tre, è in grande aumento il ricorso alla fe-
condazione artificiale e si allungano le liste
di attesa per le adozioni». L'obiezione, pe-
rò, a questo punto è quasi d'obbligo: perché
allora l'Italia resta un Paese a bassissimo
indice di natalità? «Desiderio non vuol dire
realtà», risponde Golini. «Oggi la collettivi-
tà attribuisce alle nascite un valore quasi
nullo, e la coppia è lasciata completamente
sola di fronte a questo evento, senza
L'Espresso I MARZO 1992
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