un film indipendente come
Percorsi
senza meta
Incontro con Rose Tremain, autrice
di Sacred Country, storia di una bambina
che volle diventare un uomo.
Il sesso come confine fisico e simbolico
ALLY POTTER porta sullo scher-
mo quella storia impossibile
che è Orlando. Diventa ina-
spettatamente un successo
La moglie del soldato, del regista irlan-
dese Neil Jordan... Poi, ancora in Gran
Bretagna, e' uscito in autunno il libro
di Rose Tremain Sacred Country: su-
scita piu stupore che scandalo. La pro-
tagonista, Mary, decide a soli sei anni
che lei non sarà mai una donna. Nel
corso della storia diventerà Martin, ma
perché? E chi è davvero? "I critici han
no messo in evidenza soprattutto la
stranezza del soggetto di Sacred Coun-
try - racconta Rose Tremain - Ma
quando mi è venuta in mente l'idea
per il libro io ci ho lavorato come su
una sorta di metafora di quello che
tutte e tutti temiamo: c'è sempre un
momento, prima o poi nella
vita, in cui
abbiamo l'impressione che ci sia qual
cun altre dentro di noi".
E dunque quando guardiamo a nol
stesse rlusciamo anche a vedere le
ambivalenze? C'è questo ma anche
quello, quello che sei ma anche quel-
lo che avresti potuto o voluto essere.
In Sacred Country mi pare che ci sia la
scelta di mettere in evidenza quelle
parti che nelle vite "normalt" riman
gono nell'ombra, I fili della tua vita
che non hai seguito ma che sono ri-
masti li e non puoi buttarli vita. Mary
diventa Martin perché decide si sepul
re una delle "possibili vite" che le so-
no concesse?
Si, è cosi. In questo caso, nella storia
di Mary/Martin, si tratta di qualcosa di
estremamente visibile perché fisico.
Nelle vite normali", ammesso che esi-
stano, non ci si guarda, non ci si tra-
sforma, non ci si interroga, forse, con
lo stesso tipo di angoscia. E poi ho vo-
luto raccontare di come anche nelle vi-
te più prevedibili, piu regolate o rego-
lamentate, le cose possono cambiare
all'improvviso. Capitano quelli che
chiamiamo "incidenti": può morire
qualcuno, puoi tagliarti una mano... le
nostre vite, ma anche le identità che
crediamo definite, sono a volte il risul-
tato di una partita a dadi.
Lei sembra affascinata dalle situazio-
ni estreme, da vicende di frontiera co-
me la transessualità. Ma non crede
che ci sia qualcosa di estremo nella fa-
se di ridefinizione radicale che stiamo
attraversando alla fine di questo mil-
lennio?
Io credo che avvertiamo nell'aria un
senso di minaccia alla nostra identità
percepiamo la fragilità della vita cosi
come la conosciamo. Vede, per scrivere
Sacred Country ho inter
Legendaria vistato molti transessua-
Maggio li, piu uomini che sono
Glugno diventati donne che
donne che sono diventa-
1993
8
ti uomini. Le loro storie sono molto di
verse l'una dall'altra ma hanno un
punto in comune: nel processo che ti
porta ad attraversare il confine tra i
due sessi, a cambiare aspetto e iden-
tità sessuale e sociale non c'è mai un
punto di arrivo, un momento in cui si
può dire: ecco sono arrivato/a ad esser
id che sono. Ci sono modificazioni
progressive, sentimenti di gioia, di
rabbia, di amore, di lutto, ma non c'è
"romanzo di formazione". Invece, la
formula del romanzo classico prevede
un punto di partenza, una crisi, un du-
To lavoro su di sé e sulle cose e una
"restaurazione di un ordine di una
normalita.
Ma lei è invece alla ricerca di un'altra
forma narrativa.
Si, sono alla ricerca di narrative
dell'ambiguità, di qualcosa che sia
nuovo, differente. Vede, in Gran Breta-
gna non si è mai scritto tanto come in
questi ultimi anni. Vengono pubblica-
te molte buone storie, forse troppe. E'
come se anche tra gli scrittori e le scrit-
trici corresse quello spirito di fine mil-
lenio di cui lei parlava prima, un'ansia
incontenibile, come se la spinta fosse:
ebbene, se qualcosa deve finire è me-
glio fare qualcosa perche finisca al più
presto. La sensazione diffusa è che
non ci sia nulla di stabile e di durevole.
Scrivere storle nuove, differenti, lel
dice. Ma non crede che, come la sua in
Sacred Country, debbano essere storie
dotate di senso, quelle che, quando si
leggono, non solo rappresentano una
sorpresa ma anche il riconoscimento
di qualcosa che avevi intuito ma non
capito realmente e che quella storia ti
dice.
E tutto cosi sorprendente in questa
fase di cambiamento che non possia-
mo, chi scrive e chi leg-
.
ge, non farci delle do-
mande: sui ruoli ei rap-
porti tra maschile e fem
minile, sulla riproduzio-
ne e le nuove tecnologie
del corpo, su che tipo di umanità abi-
terà il terzo millennio...
Ma penso, co-
munque, che le storie che raccontiamo
siano troppe e mi chiedo il perchè
Forse perché da quando c'è la televi-
sione non si può più vivere senza che
qualcuno ti racconti continuamente
delle storie. In ogni modo la storia che
racconta in Sacred Country è tanto
nuova da aver fatto litigare i critici...
I critici sono stati soprattutto curio-
si. Mentre alcune giornaliste femmini-
ste mi hanno criticato richiamandomi,
ad una mia presunta responsabilità
verso le donne
Perché Mary vuole diventare un uo-
mo? si sono chieste, lo credo che su
questo ci sia stato un equivoco, a me-
no che non si sia trattato di una vera e
propria censura.
A.M.C.)
IMMAGINE non è qualcosa che
si vede, è un vedere del cuo-
L
re..., dicono alcune donne in
"Percorso per figure di inten-
sita", il saggio che introduce
un numero speciale della rivista Sta-
zione di posta dedicata a la madre:
origine della passione. Sono Gabriella
Buzzatti, Isanna Generali. Pina Gia
cobbe, Tina Serpi e Rita Valle del Cen
tro di documentazione donne di Fi
renze. E più in là nel loro testo: Non si
tratta di disvelare/rivelare il Senso, la
Verità ma di scoprire il materiale di-
menticato, rimosso, a partire dai resi-
dai contagi che hanno lasciato
dietro di sé.
Se le immagini sono il risultato di
un vedere del cuore allora il cuore - il
sentire, l'esperienza, le emozioni -
c'entra con la teoria. Specie quando la
toria si esprime per "figurazioni", quel
pensare per figure che una teorica co-
me Rosi Braidotti ha ormai non solo
adottato ma, a sua volta, teorizzato: «Il
termine "figurazione"... si riferisce ad
un'immagine del pensiero che evoca o
rappresenta vie di uscita rispetto alla
tradizione fallologocentrica e della vi
sione del soggetto, spiega Braidotti
nel saggio introduttivo di Nomadic
Subject, la raccolta di suoi scritti in
uscita per la Columbia University
Press di New York La sua figurazione
centrale non è, come nel caso delle
donne di Firenze, la madre ma la don-
na e un particolare tipo di donna: una
nomade, una poliglotta. È lei quella
che pensa, il soggetto filosofico, ma
anche il suo personaggio. E il modo in
cui Rosi racconta ciò che è e ciò che ha
fatto, i luoghi in cui è stata. Ed è lei, il
soggetto nomade e poliglotta che in-
sieme pensa e racconta: l'infanzia in
Friuli, il passaggio in Australia e poi
Parigi e ora Utrecht, Olanda. E intanto
centinaia di incontri, viaggi, sposta
menti. Lingue che si intrecciano in una
polifonia di voci ascoltate e pensieri
espressi in codici linguistici differenti:
l'italiano, l'inglese, il francese, l'olan
dese.
E poi una semplice constatazione:
L'identità è una nozione retrospetti-
var. L'identità della nomade ancor di
plu: mappa del luoghi in cui sei già
statas, inventario di tracce. Che cosa
questo implichi nella e per la teoria del
femminismo è esattamente uno dei
nodi cruciali del dibattito in corso in
Italia e tra le due sponde dell'Atlanti-
co. La nomade poliglotta dice molto di
sé ma qui ne prenderemo solo un
aspetto: il suo essere, per cosi dire, allo
stesso tempo pensante e affabulatoria.
D'altronde, che cosa ci dice molta
della produzione delle donne che
quello che davvero produce pensiero
sulla nostra soggettività sono esatta
mente gli scarti, le frizioni, tra l'espe
rienza e le teorie già disponibili. E met-
te in circolazione nuove narrative, rac-
conti nuovi o nuove versioni delle sto
rie che abbiamo da sempre sentito
raccontare.
C'era una volta...
C'era una volta una regina, una madre,
una bambina, due sorelle, una vecchi-
na... La bambina di Rose Tremain (di
cui parliamo qui accanto non diventa
una principessa ma un transessuale
La bambina de l'amore molesto di Ele-
na Ferrante è una figlia né amorosa né
ribelle. La bambina di Trama d'infan
zia di Christa Wolf non smetterà mai
piu di dover raccontare la sua storia
man mano che la geografia della poli.
tica cambia il suo passato. La bambina
NUOVE NA
Ai COI
È ciò che p
il pensiero
de Il gioco dei regni di Clara Sereni na-
sce quando gia troppa Storia ha scom-
pigliato i giochi d'infanzia della sua fa-
miglia. E come se addentrarsi nel bo-
sco, l'eccesso che mette in pericolo
Cappuccetto Rosso e fa in modo che
sia felice di essere salvata da un cac-
ciatore, fosse ormai la norma: superare
il confine ma salvarsi da sole e dunque
ridisegnarlo continuamente. Avanzare
stringendo tra le mani le mappe "del
luoghi dove siamo già state", perché
quelle dei territori che dovremo anco
ra attraversare sono inutilizzabili. Non
le abbiamo fatte noi e dunque preve
dono indicazioni, sentieri, itinerari che
spesso non sono quelli che servono,
certo non per tutti i tragitti.
Che dire di una Jane Campion che
riscrive Cime tempestose in Nuova Ze-
landa con un finale che sembra un
premio al coraggio e alla fedeltà a sé
stessa? In Lezioni di Piano, la protago
nista del film, Ada, dice: La voce che
sentite non esce dalla mia bocca, e la
voce del pensiero
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