Primo: cancellare i partiti
di Piergiorgio Bellocchio
on è un caso che a far conoscere
Simone Weil in Italia siano sta-
munità con la pubblicazione tra il '52
e il '56 di tre libri fondamentali: La
condizione operaia, La prima radice
(L'enracinement), Oppressione e liber-
tà. La casa editrice di Adriano Olivet-
ti rappresentava una linea culturale
che allora si sarebbe potuta definire
«terzaforzista», nettamente distinta
dal crocianesimo, dal marxismo, dal
cattolicesimo. Un liberal-socialismo
con forti venature etico-religiose. Può
darne un'idea citare qualcuno degli
autori pubblicati: Weber e Kierkegaard, Fromm e Mum-
ford, Calogero e La Malfa, Jaspers e Mounier, Galbraithe
Gandhi... Ma l'interesse per un pensiero e una testimo-
nianza così straordinari fu di breve durata e toccò pochis-
simi. Se cerco tra le opere di scrittori italiani quelle che
rechino tracce di un'influenza weiliana, trovo solo i nomi
di Franco Fortini ed Elsa Morante... Per anni e anni l'unico
saggio significativo a lei dedicato è stato quello, molto
tendenzioso, di Augusto Del Noce.
Ancora peggiore fu la sorte della Weil negli anni Sessan.
ta e Settanta. Tramontate le speranze «terzaforziste,
ignorata e rimossa dalla cultura dominante, fu adottata
da frange cattoliche o esoteriche, col risultato di darne
l'immagine appunto di una mistica, dell'ex-marxista ap-
prodata al cattolicesimo.
Un'operazione assolutamente riduttiva e falsificatoria,
pur tenendo nel debito conto la sua svolta religiosa. Stra-
na cattolica, invero, che rifiutava Chiesa e sacramenti.
Strana mistica, che voleva esser paracadutata in Francia
per partecipare alla resistenza contro i tedeschi e consu-
mava le sue ultime energie a scrivere un testo per la
ricostruzione politica dell'Europa.
Ora la Weil sembrerebbe finalmente liberata dai rigori
delle censure e dalle equivoche angustie di culti semiclan-
destini. Adelphi è un editore importante, e per di più alla
moda. Nulla osta alla circolazione della Weil. Benvenuta
Piergiorgio
Bellocchio
WEIL/SEGUE
Ero già da anni in
questo stato fisico
quando, poco tempo
fa, lavorai come ope-
raia di fabbrica per
circa un anno in una
delle industrie mec-
caniche della regione
parigina. L'esperien-
za personale, unita
alla simpatia per la
misera massa umana in mezzo alla
quale mi trovavo, e con la quale mi ero
naturalmente confusa, hanno fatto en-
trare così profondamente nel mio cuo-
re la sventura della degradazione so-
ciale che da allora in poi mi sono senti-
ta una schiava, nel senso che questa
parola aveva presso i romani.
Durante quel periodo la stessa paro-
anzi nel gran bazar del consumismo culturale che omolo-
ga tutto: ecologia e nihilismo, alchimia e robotica, gialli e
zen, horror e informatica, mistica e pubblicità, Platone e
Severino, culo e Quarantore... Già la Weil aveva capito il
processo in atto, per cui una poesia di Valéry era assimila-
bile alla réclame di una crema di bellezza
La Weil resta infinitamente più vicina a coloro che
l'avevano censurata perché la sentivano pericolosa e im-
barazzante che non al pubblico dei nostri giorni, total-
mente deculturizzato, ipervaccinato contro ogni infezione
etica o problematica
Alla degradazione culturale s'è accompagnata una al-
trettanto irrimediabile degradazione politica. Sul n. 6
della rivista Diario è pubblicato il saggio della Weil Per la
soppressione dei partiti politici (insieme a un altro testo
inedito, Progetto di una formazione di infermiere di prima
linea). La rivista è in libreria da qualche mese ma non c'è
stata la minima reazione. Unica eccezione Geno Pampalo-
ni sul Giomale del 16 settembre, con un ampio esame del
saggio. Si capisce che i nostri politici non abbiano nessuna
voglia di mettere in questione il loro ruolo e il loro reddito.
Ma leggendo quelle pagine scritte nel '43 ci si rende conto
che il loro bersaglio è ancora lontano dall'aver toccato il
grado di irresponsabilità e corruzione odierno. Eppure la
soppressione di quei partiti era per la Weil una necessità
vitale. Ma riferire al nostro sistema le ragioni della Weil,
basate principalmente sulla inconciliabilità dello spirito
di partito con i principi di verità e di giustizia, è fargli
troppo onore. E tuttavia la Weil ne parlava già come di
«una lebbra che ci uccide, di un flagello che ha divorato
tutto, da mettere fuori legge «come si vietano gli stupefa-
centi.
Per convincersi oggi del male rappresentato dai partiti,
non occorre rifarsi a Rousseau, non servono argomenti
filosofici: si tratta di un'evidenza assiomatica. Chiunque
capisce che il sistema partitocratico è ormai solo un
gigantesco racket. Ma nessuno si decide a prendere la
minima iniziativa per contrastarlo. «Le grandi cose» dice-
va la Weil «sono facili e semplici». Ma non si può combat-
tere il male se, una volta riconosciuto, non lo si odia. Il
male fuori di noi, e prima di tutto il male che è in noi. Per
la Weil teoria e prassi non sono mai separate. Da ogni
pensiero deve conseguire una condotta coerente. Non c'è
pagina della Weil che non implichi il problema di «come
vivere. Ma chi ha voglia di cambiare? Non viviamo forse
nel migliore dei mondi possibili?
la Dio non ha avuto nessun posto nei
miei pensieri. E questo fino a quando,
un giorno, circa tre anni e mezzo fa,
non ho potuto più rinunciarvi. In un
momento di intenso dolore fisico,
mentre mi sforzavo di amare senza
però credermi in di-
ritto di dare un nome
a quell'amore, ho
sentito, senza che
fossi minimamente
preparata non ave-
vo infatti mai letto i
mistici - una presen-
za più personale, più
sicura, più reale di
quella di un essere
Simone Weil (al centro)
con un gruppo di amiche,
in un'immagine dei suoi
ultimi anni
PANORAMA - 23 OTTOBRE 1988 - 153
umano, inaccessibile sia ai sensi che
all'immaginazione, simile all'amore
che traspare dal più tenero sorriso di
un essere amato. Da quell'istante il
nome di Dio e il nome di Cristo si sono
sempre più irresistibilmente confusi