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battono, per questo si la-
sciano sfruttare, per questo,
molto spesso, sono delle
drogatex.
Comunque non ha voluto
osservarle troppo, dice, per
non eccedere in informazio-
ni. Le piace calarsi nei suoi
personaggi e farli vivere in-
ventando. Questo è sempre
possibile quando interpreta
i film di suo marito, Nicho-
las Roeg, regista scomodo,
artista inglese mentre lei
è americana, vent'anni più
anziano, bizzarro, talentoso
- come dichiara lei - «inna-
morato del mio sedere
È stato possibile anche con
Ken Russell. Ma è stata,
pare, una contingenza for-
tunata: Russell, dice There-
sa, ha un carattere orribile,
prevaricatore e rissoso.
«Questa volta eravamo sol-
tanto io e lui. Il film era
tutto su di me. Io parlo al
pubblico, io guardo in mac-
china. Io mi confesso e mi
sfogo ammicco e mi di-
fendo e aggredisco e seduco
e derido... lui sapeva che se
non funzionava il rapporto
fra me e lui, non ci sarebbe
stato il film
re.
Se il regista non fosse stato
Ken Russell, lei, nonostante
la forza del copione, non
l'avrebbe fatto. Ken Rus-
sell è un autore e gli autori
sono una garanzia di quali-
tà, o, almeno, di una volga-
rità che se c'è, e spesso de-
ve esserci, non è mai fine a
se stessa. Non è «per vende-
Lei, la dark lady di La ve-
dova nera di Bob Rafelson,
uxoricida per scelta profes-
sionale, più volte nei panni
di maniache depressive,
madri incestuose, seduttrici
suicide, lei, con quel muset-
to angelico contraddetto da
uno sguardo affilato da gat-
ta selvatica, la scelta del ci-
nema d'autore l'ha fatta,
fin dai primi film, con una
sorta di selvaggia coerenza,
perfino un po' démodé.
Infatti non è ricca, mentre
potrebbe esserlo. È riuscita
a comperarsi una casa a
Los Angeles soltanto l'anno
scorso e facendo un mutuo,
come tutti i comuni morta-
li. Non è conformista: vive
il meno possibile a Los An-
geles (quando non ci abita
affitta la sua casa), e il più
possibile a Londra. Perché
non vuole che i suoi figli,
«Sono andata a osservare
le prostitute, la loro vita, come si
muovono. Le ho pagate
perché mi parlassero. Io sono
un'attrice, dicevo, ho
bisogno di voi. Il vostro tempo
vale quanto il mio».
Statton di 8 anni e Max di
5, crescano nell'atmosfera
fasulla e irreale dello show-
business. Nemmeno per se
stessa vuole dosi eccessive
di Beverly Hills: proprio lei,
che è californiana di nasci-
ta, disapprova il luogo. Ep-
pure, essendo nata nella
sterminata periferia della
città, dovrebbe farle piace-
re mostrarsi ll'atto di sca-
lare la vetta. «Macché..
Hollywood è un posto terri-
bile. Tutti sono belli. Non
c'è altro che gente bella. Se
non sei bello ti spostano un
po' più in là... e tutti sono
soltanto ed esclusivamente
interessati alla loro bellez-
za. Tutti vogliono essere
guardati, e, inevitabilmen-
te, nessuno copre il ruolo
fondamentale di spettatore,
nessuno guarda. Dev'essere
una noia bestiale.
Theresa conviene e rincara
la dose: «Noioso e ango-
sciante, perché finché sei
giovane la bellezza ti sem-
bra una forza assoluta, poi
la vedi diminuire e allora
capisci che non puoi contar-
ci in eterno
Che rapporto ha con gli an-
ni che passano questa bella
non più giovanissima, asse-
diata dalle varie Julia Ro-
berts? Buono, tutto somma-
to. È abbastanza onesta da
non negare il problema e
abbastanza intelligente da
coprirsi le spalle: «Penso
che diventerò una vecchia
saggia», dice.
Probabile: saggia, nono-
stante le sue scelte difficili,
lo è già abbastanza. Sa che
talento ed ingegno durano
di più, valgono di più, sono
più rari della bellezza. Di-
ce: «Non ho mai ricevuto
una proposta di lavoro solo
perché ero bella. Mai.
Neanche a 18 anni
Entro i 40 anni farà un film
da regista. Sente di poterlo
fare. Ha voglia di farlo.
Non dirigerà se stessa come
tanti suoi colleghi maschi
(da Robert Redford a Ke-
vin Costner). «Io mi identi-
fico troppo con i miei perso-
naggi, non avrei la capacità
di uscire continuamente dal
ruolo, per mettermi dall'al-
tra parte della macchina da
presa».
Le piacerebbe, invece, diri-
gere una donna, un'altra
donna. Nomi? «Gena Row-
lands, che è la mia attrice
preferita, Hanna Schygul-
la, Vanessa Redgrave».
E fra le giovani?
«Jodie Foster
Tutte attrici, in qualche
modo, impegnate, direi
quasi di sinistra» con tutte
le dovute virgolette: è, per
caso, in qualche modo,
schierata anche lei?
Theresa Russell ride, im-
mensamente divertita. No,
la politica non le interessa.
E non interessa neanche
Nicholas Roeg.
«Il tema che interessa di
più mio marito è l'eterna
lotta fra l'uomo e la don-
na
Gli è piaciuto, a proposito,
Whore?
Guadagno un'altra risata
(ride bene, generosamente,
e ridere la ringiovanisce).
«Nic è un regista, non gli
piace mai quello che fanno
gli altri. Gli sono piaciuta
io, era molto orgoglioso di
me, ma avrebbe fatto un
film molto diverso
Probabile: questo si avvale
di una crudezza di linguag-
gio vagamente didascalica.
Cito a caso dal copione:
Stammi bene a sentire
battona: io mi farò anche
fottere, ma prima ti infilo
quelle dita nel culo e poi te
lo rompo.
Non è un po' preoccupata
di un prevedibile consumo
scandalistico, questa bion-
da martire del cinema d'au-
tore? Preoccupata no, dice,
forse un po' stufa. Le piace-
rebbe interpretare, per una
volta, la parte di una donna
normale. Fare un film che
potessero vedere anche i
suoi figli. Statton, il mag-
giore, l'ha sgridata: «Perché
i tuoi film sono sempre vie-
tati?». Ha anche chiesto
«Che cosa vuole dire Who-
re! È imbarazzante, con-..
vengo.
«Ma la cosa peggiore è suc.
cessa durante le riprese: io i
miei bambini me li porto
sempre dietro perché so che
cosa vuol dire sentirsi soli
da piccoli... ma mentre gi-
ravo Whore, per molte set-
timane, non ho potuto te-
nerli con me, perché ero
troppo triste, troppo in-
fluenzata dal mio personag-
gio... non avrei saputo, do-
po 13 ore di set, scherzare
con loro
La maternità sembra dav-
vero un tema centrale, per
Theresa Russell: non parla
dei suoi figli con quel tono
di soddisfatta proprietà,
quasi fossero cavalli di raz-
za, che ho spesso sentito in
altre interviste, con altre
bionde, con altre star...
Io, azzardo, consiglierei a
tutte le donne molto appa-
gate dal proprio lavoro o
dalla propria immagine di
diventare madri. Un figlio è
una miracolosa riduzione
del narcisismo, impedisce
di essere troppo egocentri-
che... regala una fragilità
necessaria per continuare
ad essere se stesse, a mi-
gliorare.
Theresa si illumina. Non è
merito mio: si illumina sem-
pre un po' quando parla dei
suoi figli. Dice: i figli ti
impediscono di conferire
troppo valore alle cose. Se
mi dicessero: o tu bruci un
Picasso o noi torciamo un
dito a uno dei tuoi bambini,
io brucerei il Picasso».
C'è da crederle. E c'è da
crederle anche quando dice
di aver rinunciato a certe
occasioni cinematografiche
per motivi di famiglia».
Allora, chiedo con una pun-
ta di ironia, quale sarà il
suo prossimo film? Una
produzione della Disney?
«No. Non esattamente. Si
chiama Chicago Loop... e
io faccio la parte di una po-
liziotta che uccide l'uomo
che stava per stuprarla, poi
soffre di tremendi sensi di
colpa e riesce a superarli
soltanto frequentando un
altro assassino». Povera
Theresa condannata all'e-
stremismo. Eppure è bion-
da e ha gli occhi celesti. La
bionda non doveva essere
«bellina e dolce? Non era
bruno lo stereotipo della
cattiva?
Lidia Ravera
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