Quest'opera è legata a "Sant'Antonio da Padova" (inv. 1618). I due santi costituivano il pannello laterale destro di un polittico proveniente dal convento di San Francesco a Cantù, ricostruito in occasione di una mostra tenutasi al Museo Poldi Pezzoli nel 1982. L’altro pannello, con i santi Giovanni Battista e Francesco, è conservato presso il Museo Bagatti Valsecchi di Milano, mentre la tavola centrale con la Madonna con il Bambino e angeli è ora al Paul Getty Center di Los Angeles.
Stefano è identificabile dalle pietre della lapidazione simboli del suo martirio; Antonio da Padova dall’abito, dalla tonsura e dal giglio francescani.
Il loro aspetto sobrio e dimesso – caratteristica che deriva dalla pittura di Foppa - è equilibrato da inserti di grande freschezza, come la resa veloce dei ciuffi d’erba, la chiusura slacciata di uno dei libri e il particolare palma del martirio, fiorita e con un frutto. Osservate la spontaneità del gesto con cui Stefano tiene un dito tra le pagine del libro, mentre Antonio appoggia il giglio al libro e pare giocare con la sua allacciatura. La fascia rossa e il giallo oro della dalmatica (la tunica da diacono) di Santo Stefano sono dettagli di forte vivacità cromatica, che ravvivano il tono generale del dipinto.
Zenale fu uno dei protagonisti della pittura di area milanese tra Quattro e Cinquecento. Profondamente influenzato da Bramante – la stessa loggia del Polittico di Cantù rimanda all’architettura dell’artista di Urbino – Zenale guardò anche a Leonardo: il paesaggio roccioso che si apre sullo sfondo della tavola centrale e la posa di Gesù che indica la madre richiamano direttamente la Vergine delle Rocce. Tale attenzione al modello leonardesco può in parte dipendere dal fatto che entrambi i dipinti furono eseguiti per la Confraternita dell’Immacolata Concezione, come dimostra il recente ritrovamento di un documento, che fissa al 1502 la data della commissione a Zenale, conclusa, si pensa, nell’arco di cinque anni.
F.A.