In una lettera del 21 aprile 1498, il segretario Gualtiero da Bascapè informa il duca Ludovico Maria Sforza detto il Moro che Leonardo da Vinci si è impegnato a concludere, entro settembre dell’anno successivo, la decorazione della sala delle Asse, una grande sala collocata nell’angolo nord orientale del Castello, ai piedi della torre del Falconiere. La decorazione progettata da Leonardo, forse aiutato da un’équipe, prevede un grande pergolato di gelsi che, a partire dai grandi alberi dipinti lungo le pareti, si sviluppa a coprire interamente la volta in un fitto intrico di rami e corde dorate, intrecciati in complicati nodi di grande eleganza. Nei cartigli della volta sono riportate delle iscrizioni che ricordano, in ordine cronologico, il matrimonio della nipote del Moro Bianca Maria Sforza con l’imperatore Massimiliano (1493-94), l’investitura ducale di Ludovico (1495), e infine il viaggio con Beatrice per chiedere l’aiuto di Massimiliano nella guerra con Carlo VIII (1496). La quarta, oggi illeggibile, ricorda la vittoria del re di Francia Luigi XII su Ludovico il Moro. Al centro, lo scudo inquartato con gli stemmi delle famiglie Sforza e Este. Sulle pareti dell’angolo nord della sala si trova il cosiddetto Monocromo, un’ampia porzione di disegno preparatorio che raffigura le robuste radici di un albero di gelso che si insinuano nel terreno e, con forza dirompente, spaccano rocce e massi di forma squadrata. Questa composizione incorniciava illusionisticamente la bocca del grande camino presente in sala all’epoca di Ludovico il Moro. Tuttavia, con l’arrivo dei francesi e la caduta del ducato di Milano nel 1499, Leonardo dovette abbandonare la città lasciando l’opera probabilmente incompiuta.
La singolare scelta degli alberi di gelso, chiamati “moro” o, in Lombardia “morone”, per decorare la sala di rappresentanza del duca era un chiaro riferimento al soprannome di Ludovico, detto appunto il Moro, e ne ricordava il ruolo nella diffusione della piantagione dei gelsi, alla base della fiorente produzione della seta in Lombardia. Inoltre, dal punto di vista simbolico questa pianta, definita sapientissima omnium arborum, permetteva di celebrare la saggezza politica del Moro e la stabilità raggiunta dal ducato sotto il suo governo.
Nella lettera del 1498 si specifica inoltre che “Lunedì si desarmerà la camera grande da le asse coè da la tore.”, intendendo che sarebbero state rimosse le assi di legno che rivestivano la sala, usanza all’epoca molto diffusa per riparare gli ambienti da freddo e umidità. Fu proprio per questa sua caratteristica che l’architetto Luca Beltrami, sotto la cui guida fu restaurato interamente il Castello Sforzesco a fine Ottocento e fu riscoperta la decorazione leonardesca, ribattezzò la sala in “Sala delle Asse”. In realtà la sala era conosciuta all’epoca di Ludovico come “la camera detta de’moroni”, come riportato da Luca Pacioli nel ventesimo capitolo del Divina Proporzione del 1509.
Nel corso degli anni, la sala delle Asse fu utilizzata per i più differenti usi e la decorazione fu ricoperta varie volte con stesure di calce bianca, spesso utilizzata in passato per sanificare gli ambienti. A fine Ottocento, durante l’intervento di restauro di Luca Beltrami, fu riscoperta la decorazione policroma insieme ad alcuni frammenti di monocromo, anche grazie alle importanti ricerche e indagini stratigrafiche svolte dallo storico dell’arte Paul Müller-Walde.
Il pittore restauratore Ernesto Rusca, su indicazione di Beltrami, si occupò tra il 1893 e il 1902 di ridipingere completamente la decorazione policroma della volta e delle lunette, seguendo fedelmente le tracce di pittura ritrovate. Durante l’intervento di restauro degli anni ‘50 del Novecento, il restauratore Ottemi della Rotta non rimosse del tutto la ridipintura del Rusca ma si limitò ad alleggerirla. In questi anni, il Monocromo fu interamente riportato alla luce e reso visibile al pubblico nell’allestimento progettato dagli architetti BBPR.
Da tempo il Monocromo, come del resto l’intera decorazione della sala, era interessato da estesi fenomeni di degrado che, oltre a minacciare la conservazione dell’opera, ne falsavano la corretta lettura. A partire dal 2012 furono quindi rimosse le assi di legno dalle pareti dell’allestimento degli anni ’50 del Novecento e fu avviata un’importante campagna di indagini diagnostiche finalizzate alla conoscenza dell’opera e al suo restauro, concluso nel 2015, in collaborazione con l’Opificio delle Pietre Dure di Firenze e il Ministero dei Beni Culturali.