La tela qui presentata, proveniente da una prestigiosa collezione privata, è un’opera di grande rilevanza che si inserisce nella piena maturità artistica di Alessandro Magnasco che, con irriverenza e carica provocatoria, rappresenta una scena tipica della vita monastica.
Il dipinto, cui è stato attribuito l’eloquente titolo Scaldatoio di frati cappuccini sotto la cappa d e l c a m i n o , si inserisce in un articolato gruppo di “fraterie” e costituisce una delle tele più esemplificative delle dure condizioni di vita dei frati protagonisti di moltissimi dipinti dell’artista. Questo dipinto, che fa pendant con La biblioteca del convento, mette in scena le privazioni e l’indigenza tipiche della vita monastica. Intorno a uno scaldatoio sormontato da una grande cappa diroccata viene rappresentato un gruppo di frati cappuccini intenti a scaldarsi i piedi attorno a un camino. Una dozzina di monaci avvolti in sai ormai frusti, magri, dai volti scavati, molti dei quali in là con gli anni, si riuniscono attorno a una brace, insufficiente per scaldare tutti, tanto che uno di loro, quello che vediamo in primo piano a destra, preferisce andarsene sulle sue stampelle, con aria imbronciata e con la bocca aperta quasi a emettere una smorfia di disappunto: nonostante la rapidità esecutiva tipica del pittore ligure, ci sembra proprio di immaginarcelo, questo vecchio monaco, mentre incede claudicante protestando per il miserabile accenno di fuoco col quale i confratelli pretendono di riscaldare un ambiente dal soffitto altissimo. E mentre il fumo nero sale verso la rovinatissima cappa del camino, c’è chi soffia col mantice per provare ad alimentare le fiamme, c’è chi stende uno straccio nel vano tentativo di asciugarlo, e c’è chi semplicemente protende in avanti le mani, adunche e spigolose come quelle di quasi tutti i protagonisti delle pitture di Magnasco, per trovare dal calore un minimo di conforto: la capacità narrativa del pittore è tra le più alte di tutto il Settecento.
Per sottolineare maggiormente la povertà di questi frati, Magnasco decide di giocare la composizione quasi esclusivamente sui toni del marrone e del grigio, i colori che forse più ricorrono in questo tipo di produzione: i richiami allaterrae allacenerealludono significativamente e forse consapevolmente all’umiltà di questi poveri frati.
L’unica fonte luminosa del dipinto è posta al centro e si riflette sulle teste rasate dei monaci, sulle mani rattrappite, posandosi appena sugli oggetti raffigurati in primo piano come su due gatti, la cui presenza – costante in questo tipo di scena – conferisce alla rappresentazione un’atmosfera di quotidiana intimità. La concezione centripeta del dipinto infonde dinamismo e profondità alla scena, in accordo con le pennellate decise, rapide, sprezzanti, che danno vita a una narrazione resa con un’ineguagliabile talento di colorista monocorde.
Magnasco, nel corso della sua carriera artistica, ha realizzato più versioni degli scaldatoi, tutti conservati presso prestigiose collezioni pubbliche e private, tanto da poter distinguere tali rappresentazioni in due gruppi differenti: uno è caratterizzato da colori caldi e composizione ordinata, con i monaci disposti mediante una sistemazione piramidale che dalla parte bassa centrale sale verso l’alto. La nostra tela appartiene a un altro gruppo stilistico costituito da “fraterie” più piccole e di formato verticale, abbozzate e con poche figure; vi domina lo sfondo scuro, dal quale emergono a poco a poco i contorni giallastri e incerti delle figure abbreviate, frammenti di visi, avvampati dall’incarnato marrone-rossiccio, corpi fortemente semplificati, elementi di mobili, e il fumo. Dal fondo bruno-grigiastro baluginano macchie di rosso scuro che contribuiscono a un effetto d’atmosfera aspra e fosca.
In questo dipinto, così come in quasi tutte le fraterie (questo il nome con cui sono noti i dipinti a tema monastico di Magnasco), non c’è il benché minimo intento satirico. Anzi, con le sue fraterie, Magnasco assume una forte presa di posizione all’interno di un dibattito attorno alla corruzione degli ordini monastici, che si stava consumando proprio negli anni in cui il pittore realizzava i suoi lavori. Tra le voci che presero parte alla discussione, vi fu quella del frate cappuccino Gaetano Maria da Bergamo (al secolo Marco Migliorini, Bergamo 1672 - 1753), che nel 1750, quindi un anno dopo la scomparsa di Magnasco, pubblicò leIstruzioni morali, ascetiche, sopra la povertà de’ frati minori cappuccini, una summa delle sue idee oltre che dei contenuti delle predicazioni che il religioso da anni andava svolgendo in terra di Lombardia, regione nella quale Magnasco fu a lungo attivo
Alessandro Magnasco, con irriverenza e carica provocatoria, in certe sue opere sembra quasi voler dar corpo alle parole di Gaetano Maria da Bergamo.
Italico Brass era un noto collezionista-mercante e pittore veneziano, noto nel mondo dell’arte per la sua prestigiosa collezione d’arte antica custodita a Venezia all’Abbazia della Misericordia, importante complesso storico della città lagunare acquistata dal collezionista nel 1920 e resa galleria dopo un accurate restauro; qui Brass svolgeva la sua attività di mercante.
Tra gli artisti predominanti ricordiamo Canaletto, Bellotto, Marieschi, Guardi e tra i minori Maffei, Pietro ed Alessandro Longhi, Marco Ricci ed altri ancora; ma soprattutto Alessandro Magnasco di cui Brass è da sempre considerato il grande scopritore, artista del quale è arrivato ad avere 50 opere che lo hanno così legato alla fraterna amicizia con Geiger ed all’eterno legame con l’artista genovese. Bibliografia:
D’Ancona, in Dedalo 1922, p. 428-29; Rusconi, in Emporium Maggio 1922, p.329; Ferri, Alessandro Magnasco, 1922, p.24; Geiger, Alessandro Magnasco, 1923, p. 55, n 214; Nugent, Mostra della Pittura Italiana del ‘600 e ‘700, 1925, Vol I, p 359; Fiocco, La pittura veneziana alla mostra del ‘700, Venezia 1929, p. 5; Delogu, Pittura minore ligure e lombarda, 1931, Tav 196; Pospisil, Alessandro Magnasco, 1944, Tav 169-171; Geiger, Alessandro Magnasco, 1949, p. 149; Podestà, Emporium Giugno 1949, p. 260; Franchini, Alessandro Magnasco, 1977, Tav XXI_XXII:XXIII;
Roli, Alessandro Magnasco, 1964, Maestri del colore, Tav X; Muti-Prignano, 1994, Magnasco, n 356, fig 350
porium Giugno 1949, p. 260; Franchini, Alessandro Magnasco, 1977, Tav XXI_XXII:XXIII;
Roli, Alessandro Magnasco, 1964, Maestri del colore, Tav X; Muti-Prignano, 1994, Magnasco, n 356, fig 350
Esposizioni:
Firenze 1922, N. Tarchiani (a cura di), Mostra della pittura italiana del Sei e Settecento (Firenze, Palazzo Pitti, 1922), Roma-Milano-Firenze 1922.
Venezia 1929, N. Barbantini (a cura di), Il Settecento italiano (Venezia, Palazzo delle Biennali ai Giardini Pubblici, 18 luglio - 10 ottobre 1929), Venezia 1929.
Parigi 1935, L’Art italien (Parigi, Petit Palais, 1935), Parigi 1935.
San Paolo del Brasile 1954, G. Ronci (a cura di), Da Caravaggio a Tiepolo: pittura italiana del XVII e XVIII secolo (San Paolo del Brasile, settembre-ottobre 1954), Roma 1954.