viduo, finalmente libero dall'imperativo di adeguarsi a formule precostituite e a mo-
delli etici dettati da necessità sociali, ha tutte le condizioni per accettare come
verità quella che scaturisce dagli impulsi spontanei della propria costituzione. La
crociata per le idee, qualsiasi sia il loro contenuto, sono finite: "Non si tratta di
predicare la verità" ha scritto un grande saggio del nostro tempo- "ma di vivere la ve-
rità in anticipo sui propri simili. E ciò è possibile soltanto se la verità è un'au-
tentica verità, e non una verità confezionata, cucinata, pianificata, propagandata.
La verità deve essere un pezzo di noi stessi come le nostre gambe e il nostro cervel-
10-o il nostro fegato. Non mancate neppure di vivere una verità che non sia affine a
voi stessi: essa si rasformerà subito in una menzogna peggiore a sopportarsi che non
quella organicamente sviluppatasi negli espedienti del vivere sociale". A poco a po-
co-mi si è creata la convinzione che, di tutti i sistemi linguistici,-quelli plastici
costituiscano in qualche modo la sede naturale dove tale operazione di verità sta
raggiungendo oggi il massimo di concretezza. E questa è la ragione per cui, da una ge
nerica inclinazione alle arti figurative, mi sono trovata strettamente partecipe degli
sviluppi in corso nell'arte moderna.-E dovendo ipoteticamente rispondere a una di quel
le domande tremende che pongono di solito la 1.V. i rotocalchi, dove si può fare un
solo nome, farei quello di Marcel Duchamp, per aver portato tale operazione di veri-
tà a un'evidenza di stato di grazia dalla quale non è possibile recedere. Così mi ap-
pare sostanziale che un critico d'arte svolga la propria attività indicando quelle
realizzazioni artistiche che si presentino come elaborazione di tecniche di vita con
le quali l'uomo dà prova di reagire in modo non nevrotico alla caduta dei miti socia-
li, delle contrapposizioni di culture, di frontiere, di tradizioni, a quella che mi
sembra giusto chiamare la sua nuova dimensione cosmica. Un'esperienza di vita in qual-
che modo parallela a quella presa di possesso della libertà che determina-le opere
d'arte a noi contemporanee, diventa per il critico l'unico mezzo per stabilire un
contatto con esse, posto che nessuna garanzia professionale è in grado di introdurre
da sola alla loro comprensione. Il critico, come l'artista, non può pretendere ad al-
cun riconoscimento di rappresentanza in anticipo: come per la pittura, cosi per la cri
tica non esiste più la categoria operativa nella quale insediarsi conseguentemente agi
re. La fortuna del critico-militante appare ormai interamente affidata alle risorse
di un ambito di una vicenda personali di sforzo e di penetrazione in vista di una
verità personale da raggiungere.
e
Carla Lonzi