Come le tele di Pittoni e di Piazzetta, il dipinto proviene dalla chiesa dei Cappuccini a Parma, ove venne ricordato da una guida locale, collocato nella quarta ed ultima cappella a destra. Confluito successivamente nel 1810 in Galleria, raffigura due santi martiri cappuccini poco noti, canonizzati da Benedetto XIV nel 1746: a sinistra Fedele da Sigmaringen morto nei Grigioni nel 1622 nell’atto di schiacciare l’allegoria dell’Eresia e a destra Giuseppe da Leonessa, assassinato dai calvinisti all’Amatrice nel 1612. L’opera venne eseguita probabilmente dopo il 1752, quando non é ancora menzionata in chiesa e fors’anche dopo l’anno successivo quando Tiepolo tornò in Italia dal soggiorno tedesco di Würzburg, e prima del 1758 allorquando il maestro veneto venne insignito dall’allora istituita Accademia parmense del titolo di “amatore”, successivamente mutato in “accademico d’onore”.
La composizione monumentale ed equilibrata, memore di ricordi veronesiani filtrati attraverso una squisita sensibilità rocaille e giocata sul contrasto fra le vigorose figure dei martiri nei loro sai marrone scuro, visibilmente rattoppati, e la giovane seminuda in basso che si sta contorcendo per la sofferenza e dai capelli della quale spuntano vari serpentelli, che la connotano iconograficamente, è uno degli esiti più alti del periodo maturo dell’artista veneziano
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