La firma poco leggibile non consente di scoprire con certezza l’identità di questo autore di scuola mitteleuropea, probabilmente ungherese. Ma il collezionista ha certamente scelto quest’opera non per la celebrità del pittore, ma per la sua capacità di ritrarre in modo quasi clinico una natura morta. Infatti, sul tavolo coperto da una tovaglia bianca, appaiono parvenze di alimenti che sembrano lontanissime da qualsiasi tavola imbandita. L’artista è riuscito a rendere con delicatezza, precisione e tocco quasi decadente le fattezze della verdura, il bagliore del coltello, le cose imprigionate nei due vasi di vetro, quasi appartenessero ad un museo di scuola naturale. Non importa qui definire il dettaglio e la specie degli oggetti raffigurati. Conta invece sottolineare l’alternanza sapiente tra ombra e luce e il disfarsi progressivo della materia, quasi questo accadesse direttamente sotto lo sguardo dello spettatore. Così, il quadro è anche una riflessione emblematica del rapporto tra morte e vita, seguendo in questo la tradizione più illustre del tema della natura morta, che trae le sue lontane origini dalle stoviglie e dal cibo che gli apostoli vedono durante l’ultima cena.