Sostegno di mensa (trapezophoros) con due grifi che sbranano una cerva - anonimo - 325 - 300 aC ca, marmo, alt. cm 95 , lungh. cm 148. Nell’immaginario collettivo si è ormai consolidata l’identificazione
del centro antico di Ausculum, un insediamento dauno
sede di importanti testimonianze antiche, che si è sviluppato
sulle alture circostanti il corso del Carapelle, un modesto torrente
del Tavoliere meridionale che scorre tra i Monti Dauni ed
il Mare Adriatico, in provincia di Foggia, con il rinvenimento di
un prezioso e per certi versi sorprendente nucleo marmoreo,
recuperato al patrimonio pubblico nel 2007 ed oggi esposto
presso il Museo Civico Diocesano di Ascoli Satriano.
Il gruppo scultoreo in marmo dei grifi, sostegno di una mensa
anch’essa in marmo, è infatti parte di un complesso costituito
da diversi oggetti databili entro la seconda metà del IV sec.
a.C. (tra il 330 e il 320 a.C): oltre al trapezophoros, un podanipter,
ossia un bacino utilizzato per il lavaggio delle mani nel corso
dei banchetti, decorato all’interno della vasca con la scena
dipinta della dea Teti che porta con le sorelle Nereidi le nuove
armi realizzate da Efesto al figlio Achille, un cratere a calice su
sostegno recante l’impronta in negativo di una corona d’edera,
probabilmente d’oro, applicata sul corpo del vaso, due oinochoai
a bocca rotonda, quattro epichyseis, una loutrophoros,
elementi relativi ad una ulteriore trapeza, phialai e numerosi
frammenti di oggetti in marmo frutto di una ulteriore recente
restituzione da parte del J.P. Getty Museum di Malibu. I reperti,
infatti, rinvenuti alla metà degli anni ’70 del secolo scorso da
scavatori di frodo nel territorio di Ascoli Satriano furono acquistati
dal museo californiano che, in seguito ad una complessa
e articolata indagine condotta dai Carabinieri del Nucleo Tutela
Patrimonio Culturale, ha dovuto restituirli allo Stato Italiano.
La straordinaria scultura, alta 95 cm e lunga 148 cm, è costituita
da una coppia di grifi, animali fantastici con il corpo di leone e la testa di drago rappresentati con fine realismo mentre azzannano un cerbiatto ormai disteso al suolo. Del tutto peculiare
è lo stato di conservazione della policromia che documenta
l’uso di diverse tipologie di pigmenti per tratteggiare i
particolari, dal rosa utilizzato per definire le linee incise dell’attacco
del piumaggio al corpo e l’interno delle narici, al giallo,
nella variante giallo/beige per distinguere il corpo dei grifi a
quella molto accesa del corpo del cerbiatto e, ancora, il rosso
utilizzato per le creste dei grifi e per il sangue della preda che
cola dalle loro fauci, l’azzurro delle ali, il bianco, usato anche
per sottolineare la scanalatura profonda della ripartizione delle
piume, fino al verde impiegato per definire la base rocciosa.
Le analisi di laboratorio effettuate nell’ambito degli interventi
di restauro eseguiti dal Laboratorio della Soprintendenza
Archeologica di Roma, hanno confermato che gli oggetti sono
stati realizzati nella medesima varietà di marmo, proveniente
da cave dell’isola di Paros nelle Cicladi, e che per la decorazione
dipinta sono stati utilizzati gli stessi pigmenti (cinabro,
cerussite, malachite). Ulteriori analogie riscontrate nella tecnica
pittorica e in quella di lavorazione del marmo, indicano un’unica
provenienza degli oggetti realizzati in botteghe artigianali di
elevata specializzazione. Il complesso trova i confronti più diretti negli arredi cerimoniali
delle sale da banchetto di ambiente macedone e costituisce
la prima documentazione archeologica della versione
aristocratica del servizio da simposio, più comunemente realizzato
nelle forme ceramiche.
L’assenza del contesto di rinvenimento, ulteriore irreparabile
danno alla scienza e all’interpretazione del patrimonio archeologico
derivato dall’attività dei clandestini, non consente di definire
con certezza la destinazione, la collocazione originaria e
la funzione di manufatti di importazione dalla Grecia e di estremo
pregio, certamente destinati ad una committenza di rango
elevato. Accanto all’ipotesi di una provenienza funeraria è stata
avanzata di recente quella del bottino di guerra, memoria forse
tesaurizzata o consacrata in un santuario, del saccheggio degli
accampamenti di Pirro perpetrato da Arpani e Ascolani, alleati
dei Romani, nel corso della famosa battaglia di Ausculum del
279 a.C., momento nevralgico nell’accrescimento della gloria
della nobilitas daunia e nel rafforzamento dell’immagine, attraverso
signa di prestigio, dei membri dei gruppi gentilizi locali.
Luigi La Rocca
Soprintendente per i beni archeologici della Puglia
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