Il lockdown che ho vissuto a Milano ha portato in me una moltitudine di pulsioni dicotomiche. Se nascondersi è sempre stato un modo per proteggersi dalla vulnerabilità insita nella manifestazione di sé, una protezione non contemplata in un mondo in continua esibizione, ora nascondersi e isolarsi diventano doveri civici. Nell'estrema solitudine che ho vissuto, con un mondo esterno in tumulto, ho dovuto imparare a gestire la convivenza più ardua: quella con me stessa. Ho trovato insopportabili le news ansiogene e l’interminabile vociare dell’iperconnessione, con un prossimo che inquinava il mio isolamento, divenuto una solitudine apprezzata. E così la maschera è diventata davvero un modo per proteggermi, per smettere di guardare mostrandosi all’impersonale prossimo, ritrovando invece un sincero amore per me, sentendo fortemente la mia caducità e quella collettiva in una crescente consapevolezza.