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Taci, anzi parla, Oggetto 277

Carla Lonzi[1977 - 1978 ca.]

La Galleria Nazionale

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Roma, Italia

Stesura dattiloscritta con note manoscritte del testo (inizia da p. 154; mancano le pagine finali); appunti con indicazioni per modifiche o correzioni.

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  • Titolo: Taci, anzi parla, Oggetto 277
  • Creatore: Lonzi Carla
  • Data di creazione: [1977 - 1978 ca.]
  • Trascrizione:
    -179- dei figli con me, come al solito: questa volta ce l'ha con Alfredo per la questione politica, e sragiona proprio, tra Viet-nam e il resto, lei cosi sensibile nella vita privata diventa strananente crudele, razzista, violenta quando si tratta di politica. Fa soffrire sentirla cosi, eppure esprime una sua frustrazione, nient'altro. Ma questi poveri figli che da lei sanno solo di averla delusa! Va d'accordo con Lidia su questo, anche Lidia faxan RuxaxkaXin fratelli per non essere stati come i genito- ri ci hanno voluto, col risultato che sono diversi ugualmente, ma con senso di colpa. Mio padre ha il suo lavoro, e alla fine ha capito che i figli sono più accessori di quanto sembri, ma per questa strada anche lui non si interessa di niente che ci riguardi. parli felici, o cercare di non essere per loro una cusa di infelicità è un miraggio. Bisogna che ac- cetti questo peso senza illudermi di poterlo togliere. Ho suggerito a mia madre di scrivere un po' di diario, chissà se mi ha capita. Fino da piccola è stata investite del ruolo meterno con i fratelli, ha fatto sem- pre la madre cosi si è sacrificata, si è annullata. Anch'io da sempre mi sono sentita sorella maggiore, adesso mi sto staccando da questo compito e capisco che deformazione era per me. L'aspetto irrimediabile della fa- miglia è che ciascuno ha un ruolo. Ho parlato a lungo con Alfredo: essen- do l'ultimo, tutti abbiamo pesato su di lui: le sorelle in gamba, il fra- tello bello, i genitori delusi. Forse proprio per questo desidera tanto la solitudine, perchè tutto lo opprime. Ritva s'illudeva di aver avuto un'infanzia felice, io di aver avuto una ribellione felice nell'infanzia. In questi ritorni a casa mi accorgo su quale senso di isolamento, di incomunicabilità poggiava la mia ribellione. Ieri ho passeggiato con mio padre: prima sono stata all'officina che non vedevo da tanti anni. Nel piazzale dove avevo giocatoabambina c'era una costruzione enorme che sovrastava l'officina. Dentro mi è sembrata sempre bella, il capannone di 20 metri X10, alto un'altra decina di metri, e poi i locali attigui per verniciare, per imballare. Entrando nel capannone, lo stesso odore di metallo e di macchine oliate di una volta, la trancia dove un ragazzo aveva perso due dita quando ero bambine, la stufa a carbone con un lungo tubo. L'ufficio di mio padre piccolo, miserabile, sporco e pieno di polvere, la tana di un piccolo artigiano di una volta. Chi po- trebbe pensare che lui vive in un bell'appartamento pulito, con grandi fi- nestre, quadri, spazio e un ordine quasi monacale? Nel lavoro mantiene le sue origini, i suoi bisogni e i suoi gusti di allora. Lavora ancora in of- ficina con una specie di gabbanella da operaio. Ha Settanti anni. L'of- ficina mi ha sempre affascinato e l'ufficio mi ha sempre respinto, cosi come mio padre mi affascinava e mi respingeva. Mi conquistava il mito pro-
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  • Note: Dattiloscritto utilizzato per la pubblicazione di: Carla Lonzi, Taci, anzi parla. Diario di una femminista, postfazione di Annarosa Buttarelli, Et al., Milano 2010.
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