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dei figli con me, come al solito: questa volta ce l'ha con Alfredo per
la questione politica, e sragiona proprio, tra Viet-nam e il resto, lei
cosi sensibile nella vita privata diventa strananente crudele, razzista,
violenta quando si tratta di politica. Fa soffrire sentirla cosi, eppure
esprime una sua frustrazione, nient'altro. Ma questi poveri figli che da
lei sanno solo di averla delusa! Va d'accordo con Lidia su questo, anche
Lidia faxan RuxaxkaXin fratelli per non essere stati come i genito-
ri ci hanno voluto, col risultato che sono diversi ugualmente, ma con
senso di colpa. Mio padre ha il suo lavoro, e alla fine ha capito che i
figli sono più accessori di quanto sembri, ma per questa strada anche lui
non si interessa di niente che ci riguardi. parli felici, o cercare di
non essere per loro una cusa di infelicità è un miraggio. Bisogna che ac-
cetti questo peso senza illudermi di poterlo togliere. Ho suggerito a
mia madre di scrivere un po' di diario, chissà se mi ha capita. Fino da
piccola è stata investite del ruolo meterno con i fratelli, ha fatto sem-
pre la madre cosi si è sacrificata, si è annullata. Anch'io da sempre mi
sono sentita sorella maggiore, adesso mi sto staccando da questo compito
e capisco che deformazione era per me. L'aspetto irrimediabile della fa-
miglia è che ciascuno ha un ruolo. Ho parlato a lungo con Alfredo: essen-
do l'ultimo, tutti abbiamo pesato su di lui: le sorelle in gamba, il fra-
tello bello, i genitori delusi. Forse proprio per questo desidera tanto
la solitudine, perchè tutto lo opprime.
Ritva s'illudeva di aver avuto un'infanzia felice, io di aver avuto una
ribellione felice nell'infanzia. In questi ritorni a casa mi accorgo su
quale senso di isolamento, di incomunicabilità poggiava la mia ribellione.
Ieri ho passeggiato con mio padre: prima sono stata all'officina che non
vedevo da tanti anni. Nel piazzale dove avevo giocatoabambina c'era una
costruzione enorme che sovrastava l'officina. Dentro mi è sembrata sempre
bella, il capannone di 20 metri X10, alto un'altra decina di metri, e poi
i locali attigui per verniciare, per imballare. Entrando nel capannone, lo
stesso odore di metallo e di macchine oliate di una volta, la trancia dove
un ragazzo aveva perso due dita quando ero bambine, la stufa a carbone
con un lungo tubo. L'ufficio di mio padre piccolo, miserabile, sporco e
pieno di polvere, la tana di un piccolo artigiano di una volta. Chi po-
trebbe pensare che lui vive in un bell'appartamento pulito, con grandi fi-
nestre, quadri, spazio e un ordine quasi monacale? Nel lavoro mantiene le
sue origini, i suoi bisogni e i suoi gusti di allora. Lavora ancora in of-
ficina con una specie di gabbanella da operaio. Ha Settanti anni. L'of-
ficina mi ha sempre affascinato e l'ufficio mi ha sempre respinto, cosi
come mio padre mi affascinava e mi respingeva. Mi conquistava il mito pro-
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