Il termine di origine polinesiana "tapa" è utilizzato dall’inizio del XVIII secolo per indicare una stoffa non tessuta ricavata dalla corteccia interna di alcuni tipi di piante. Nonostante sia fabbricata in America del Sud, in Africa, nel Sud-Est asiatico, nelle Filippine e in Indonesia, è in Oceania che la sua produzione presenta la più grande varietà e complessità.
I primi navigatori ed esploratori furono impressionati da questi raffinati tessuti utilizzati per confezionare abiti, perizomi, coperte, tappeti, tende, vele, maschere e oggetti rituali, nonché per gli scambi cerimoniali. Queste stoffe, chiamate tapa riprendendo un termine polinesiano, furono tra i primi oggetti portati in Europa. Nel corso dell’ultimo secolo l’importazione di tessuti europei ha causato il declino di questa tecnica millenaria, che continua tuttavia ad avere un ruolo fondamentale negli scambi cerimoniali, nel consolidamento dei legami sociali e come simbolo identitario.
In tutte le regioni di produzione della tapa, la fabbricazione richiede operazioni simili. Dopo aver abbattuto l’albero, per lo più il gelso da carta (Broussonetia papyrifera), ma in certe regioni l’albero del pane (Artocarpus) e alcuni tipi di Ficus, si procede all’asportazione della corteccia esterna. Questa viene raschiata con una conchiglia, una pietra oppure un coltello per ottenere strisce fibrose. Dopo essere state lasciate a macerare nell’acqua, queste sono battute con una mazza di legno, e tale operazione permette non solo di ottenere bande sottili ma anche di assemblarle usando un amido vegetale fino al raggiungimento della dimensione desiderata. La stoffa ottenuta viene quindi decorata con pigmenti naturali di origine vegetale e minerale. I disegni sono eseguiti con la tecnica del frottage utilizzando stampini e matrici, oppure a mano libera con pennelli.