In più di un’occasione Massimo d’Azeglio accenna alla laboriosa gestazione de «La morte del conte Josselin de Montmorency», un dipinto che con il passare degli anni sarà ricordato e celebrato dalla critica come primo esempio di “paesaggio istoriato” e vera e propria «pietra miliare del suo percorso artistico» (CARPIGNANO, 2002, p. 63). Il primo riferimento all’opera è in una lettera inviata da Roma al fratello Roberto il 25 gennaio 1824: «Ora sto facendo un soggetto delle Croisades preso da M.me Cottin: la morte di Montmorency. Ci faticherò, ci spenderò, e poi sarà come dell’altro; non importa. Ci vuole coraggio e costanza […]» (D’AZEGLIO, 1987, I, p. 13). Il 15 novembre 1824 torna sull’argomento aggiornando la madre Cristina sul faticoso procedere del lavoro (ibid., p. 22) e a distanza di molti anni rievoca la genesi del dipinto in un passo giustamente famoso de I miei ricordi: «L’inverno del ’25 lo passai lavorando a tutto potere. Ormai mi trovavo ad avere un discreto capitale di studio, e di studi dal vero; mi sembrava di poter affrontare le grandi difficoltà senza troppa presunzione, e mi misi in animo di fare qualche opera grande (nel senso della dimensione, s’intende) e di genere un po’ nuovo. La scuola fiamminga-olandese, che regnava allora in Roma, non popolava i suoi quadri d’altro che di pastori e bestiami. Io chiamai in mio soccorso una colonia di paladini, cavalieri e donzelle erranti. In letteratura non era una novità; nella pittura di paese lo era.» (D’AZEGLIO, 1971, p. 313).
La disinvoltura del racconto, che prosegue con il vivace resoconto dell’ideazione del dipinto e della sua lusinghiera accoglienza a Torino nell’estate del 1825, non maschera la convinzione con cui l’ormai anziano d’Azeglio ribadisce il valore e la novità delle proprie scelte stilistiche giovanili. Con il «Montmorency» e ancor prima con il «Passo delle Termopili» (1823) egli aveva, infatti, saputo mettere a frutto il «capitale» costituito dalla mole di studi e appunti visivi realizzati dal vero nei primi anni del suo soggiorno romano, ma soprattutto aveva dato una svolta alla sua ricerca espressiva aggiornando i consolidati modelli del paysage composée d’ispirazione storica o letteraria alla moderna sensibilità romantica. Il soggetto medioevale del quadro è tratto, non a caso, da un romanzo di successo che ebbe anche varie versioni teatrali: il Malek Adel della scrittrice francese Marie Cottin, pubblicato nel 1805 e tradotto in italiano a Firenze nel 1823 col titolo Matilde ossia memorie tratte dall’istoria delle Crociate. La vicenda ha per sfondo la Crociata del 1187 e per protagonista la bella Matilde, sorella del re Riccardo d’Inghilterra. Assalita dai saraceni mentre si trova in Terrasanta, la donna è soccorsa dal paladino cristiano Josselin de Montmorency che nello scontro perde però la vita.
Le prime idee per il dipinto risalgono al 1818-1819, come dimostrano alcuni schizzi contenuti nei taccuini conservati presso la GAM (alb. 6, f. 19v. e alb. 14, f. 37), ma d’Azeglio giunge alla definizione dell’immagine solo gradualmente, attraverso nuovi disegni e bozzetti a olio in cui precisa il rapporto fra le figure raccolte attorno al guerriero caduto e il paesaggio che inquadra la scena; concepito come una quinta teatrale e rischiarato in primo piano da una luce radente, questo andrà amplificandosi fino ad assumere proporzioni grandiose e connotati esotici nel dipinto finale.
Altre due versioni dell’opera sono conservate in collezione privata.
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