Robert Jan van Pelt ha studiato Storia dell’arte e Archeologia classica, e si è sempre chiesto se la conoscenza in questi ambiti potesse concretamente contribuire alla nostra vita attuale. La risposta gli arrivò nel 1996, quando lo storico David Irving querelò per diffamazione presso un tribunale inglese Deborah Lipstadt e il suo editore Penguin Books per aver definito alcuni suoi scritti e alcune sue dichiarazioni pubbliche una negazione dell’Olocausto. Van Pelt fu chiamato a testimoniare al processo.
Nei suoi studi su Auschwitz, in cui nessun documento relativo alla costruzione riporta l’espressione “camere a gas” (ci si riferiva alle “gaskammer” come a camere per lo spidocchiamento) Van Pelt ha dovuto operare una sorta di operazione progettuale a rovescio: dai fatti e dalle prove fisiche, dai disegni tecnici e dai contratti di costruzione, è riuscito a dimostrare la deliberata intenzione di utilizzare le docce come strumenti di sterminio. Ad esempio, il progetto originale mostrava che delle stanze classificate come obitori avevano le porte che si aprivano verso l’interno. Quando le
SS decisero di modificare gli obitori facendoli diventare camere a gas, re-installarono le porte in modo che si aprissero verso l’esterno, perché altrimenti sarebbe stato impossibile rientrare dopo gli omicidi: i corpi a terra avrebbero bloccato l’accesso. Oppure la presenza della protezione in metallo dello spioncino sul lato interno delle porte, per impedire che venisse rotto, e principalmente un buco nel soffitto attraverso il quale veniva introdotto lo Zyklon B (buco che non aveva alcuna ragione di esistere in un obitorio): tutti questi fatti fornirono prove incontestabili nel corso del processo. Questo studio forense dell’architettura ha dimostrato che Irving aveva deliberatamente rappresentato in modo distorto le prove storiche per sostenere che l’Olocausto non fosse mai avvenuto. Questa logica architettonica “a rovescio” si è dimostrata fondamentale nel contributo alla giustizia umana.