Sammy Baloji
Nato a Lubumbashi, Repubblica Democratica del Congo, nel 1978.
Vive e lavora fra Lubumbashi e Bruxelles, Belgio.
Sammy Baloji ha cominciato a indagare la frattura paradigmatica tra il colonialismo e le immagini nel Katanga sudorientale. Dopo una laurea in materie umanistiche conseguita all’Università di Lubumbashi, Baloji ha deciso di specializzarsi in fotografia. Ha rivolto la sua attenzione al retaggio culturale, industriale e architettonico del Congo dopo essersi reso conto della mancanza di documentazione visiva del suo Paese. Nelle sue elaborazioni coniuga una cartografia urbana, politica e antropologica della storia della colonizzazione. Sono ormai passati più di dieci anni dalla sua prima visita agli archivi delle fabbriche della Società Generale Mineraria di Lubumbashi, eppure le tracce del passato continuano a stimolare la sua esplorazione del presente.
Assemblando immagini d’archivio e fotografie provenienti da diverse fonti, la pratica di Baloji si è posta domande su rappresentanza e identità, e sul loro rapporto con la memoria collettiva e le resistenze della società congolese. Attingendo da diverse collezioni storiche, nei suoi lavori elabora una storia ricavata da una documentazione etnografica, antropologica, scientifica e persino zoologica dell’epoca in cui il Congo era ancora sotto la dominazione belga. Sia che formuli le sue immagini riprendendo le architetture moderniste espropriate del Katanga industriale, sia che ripercorra la segregazione razziale messa in atto con il pretesto di modernizzare la sanità sotto l’amministrazione coloniale, Baloji resta comunque legato alle circostanze storiche. La sua attività è una terapia personale che mette in discussione la storia ufficiale confrontandola con le tracce dei ricordi, attingendo a eventi come la spedizione scientifica belga in Katanga e lo smantellamento dell’industria locale durante l’indipendenza.
Nelle opere di Baloji, le guerre recenti che hanno devastato la regione vengono indicate come prove della disillusione postcoloniale e del fallimento dello Stato, mentre i legami geopolitici di più vasta portata si dispiegano in una narrativa di ampio respiro nella quale le alternative genealogie del disordine rivelano la complessità della storia della colonizzazione. Tutto questo risulta evidente nella classificazione antropologica dei tipi che, sotto l’imperialismo occidentale, provo a disumanizzare il corpo dei neri. Baloji, a sua volta, sovverte questo sistema dando libero sfogo ai racconti di coloro che sono stati zittiti dalla storia. Per la Biennale di Venezia, Baloji ha lavorato sugli archivi etnografici che documentano i modelli di scarificazioni di diverse comunità congolesi e li ha trascritti sulla superficie del suo ultimo lavoro, una scultura colata in rame dal titolo The Other Memorial. L’opera fa riferimento agli intricati retaggi coloniali e alle tradizioni che legano l’Africa e l’Occidente, e – in linea con le ricerche che Baloji sta attualmente compiendo – parlerà di traumi e di speranze, delle contraddizioni e delle condizioni della nostra realtà postcoloniale.