Palmira e Paestum: l’una “sposa del deserto”, città carovaniera dalle mille e una storie, non ultima quella di Zenobia, che ne fu signora e regina e affermò di discendere da Semiramide, Didone, Cleopatra; l’altra colonia greca dedicata a Poseidone, conquistata dai Lucani, poi dai Romani e ricordata da Virgilio, Ovidio e Properzio per il profumo delle sue rose che fiorivano due volte all’anno, primavera e autunno (vogliono alcune cronache che siano stati i Romani a portare per primi in Europa la rosa damascena, o rosa di Damasco). Paestum e Palmira: entrambe attraversate dal filo rosso di un comune passato romano – è il latino, infatti, a traghettare fino a noi i nomi con cui le conosciamo. Le unisce oggi anche il riconoscimento dell’Unesco come Patrimonio dell’Umanità, pietre parlanti di una storia condivisa dove Occidente e Oriente si confondono e sovrappongono come miraggi, o punti di vista. Palmira è una delle ferite della Siria, i suoi templi sistematicamente mutilati dal terrorismo islamico; dal 2018 è stretta in gemellaggio a Paestum, anche nel ricordo dell’archeologo Khaled Al-Asaad, per decenni direttore del sito siriano e vittima dell’Isis, a cui si era opposto a difesa della storia e dell’arte custodite in quel luogo. È allora a Paestum, attraverso Paestum, che le Vie dell’Amicizia raggiungono la Siria.