vive di brandelli, vive di se stesso ... Parla con un
sordo, anche.
C.
Praticamente non parla con nessuno.
P. No, con se stesso. Perché esiste il parlare con se
stesso.
C. Sí, ma dentro se stesso vuol dire che è entrato
qualcuno con cui può parlare. Hai qualche sdoppia-
mento dentro di te con cui parli, mi spiego? Però è
una situazione che si esaurisce, perché appunto l'altro
a cui ti rivolgi parlando con te stesso, non ti rispon-
de, quindi è come una pila che si scarica subito. Quel-
lo che anche vorrei verificare è la ripercussione che
il dialogo, dà nella coscienza di sé, e la coscienza di
sé e coscienza dell'altro danno nel modo di vedere la
vita, di capire la realtà e quindi indirettamente sul
piano della propria espressione non privata, ma volta
all'esterno. Quando dico che mi sento, nonostante tut-
to presente nel tuo libro, come un polo di te stesso
come un referente di te stesso senza il quale non
potevi parlare della tua vita in quel modo lí, intendo
solo questo. Non che ci siano delle influenze o una
perdita di sé, al contrario una qualche sicurezza di sé
che permette di vedere la realtà in un modo diverso
da quello che ti permette uno stato sganciato dal
colloquio. Il colloquio dà una conoscenza di sé e del-
l'altro che è come una chiave per capire la realtà che
è fatta di altri se stessi. Quando tu vivi tutto all'in-
terno di te, non hai verifiche umane, sull'umanità di
te e dell'altro; anche il modo in cui guardi la vita,
il tuo passato, le figure che sono intervenute, gli av-
venimenti, i motivi che possono avere spinto altri nel-
la tua vita, sia nel bene che nel male, tutto questo
non ce l'hai come conoscenza quindi lo devi sorvola-
re, non lo puoi puntualizzare. Allora entri nel tipo,
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dicevo io, di prosa d'arte, in un tipo di prosa basata
sulla sensibilità personale e sull'inventiva personale,
ma non su questa umanità assodata, che è quella che
viene da un rapporto, dentro un rapporto.
P.
Però quelli che parlano del mio libro dicono che
lé scritto bene, quindi c'è anche un tipo diverso da eris
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come pensavo io che avrei fatto gli stessi racconti ven-
t'anni fa.
C. Cioè?
P.
Quando ho conosciuto te ti ho portato delle poe-
sie, ti ricordi, su vari personaggi della mia vita. E
volevo farli in versi perché non mi sentivo di farli
in prosa, la prosa mi avrebbe portato a maggiori re-
sponsabilità.
C. Ecco, io desidererei moltissimo che tu ritrovassi
quelle pagine.
P. Ce l'ho, ce l'ho.
C. Ce l'hai? Le hai ritrovate?
P. No, sono sicuro che ce l'ho. Non ho mai detto
di no.
C. Perché io mi ricordo il fastidio che mi davano.
P. Ma, anche a me ...
C. Scusa, scusa, ti voglio dire solo questo. Quando
le ho lette ... ecco, adesso ricordo questa sensazione
che avevo con te, come il bisogno di disincrostarti di
tutta un'abitudine, per me antipatica proprio, di rica-
mare sulle cose in modo un po' creativo, mentre sen-
tivo sotto, e te l'ho sempre detto questo, proprio un
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