Benché talvolta misconosciuto, Mancini è il vero grande pittore dell’ottocento italiano, allo stesso livello di Fattori e dei Macchiaioli. Enfant prodige, tecnicamente superbo, la sua carriera conobbe grandi successi nel quadro di una vita che andava progressivamente deteriorandosi, a causa degli attacchi di una forma di patologia nervosa difficile da precisare esattamente, probabilmente un grave disturbo bipolare. Artista irregolare, genio del colore, in un certo senso ancor più dotato di Boldini, Mancini mostra, rispetto al maestro ferrarese, la medesima capacità di tratteggiare personaggi con libertà suprema e con una pennellata che, vista da vicino, sembra quasi impazzire. Ma laddove Boldini è puntuto, Mancini è avvolgente. In quest’opera dal significato ambiguo, è difficile precisare se il personaggio ritratto sia una ragazzina ad una festa di Carnevale o un ragazzino travestito. E’ certo però che la presenza della mascherina indica una sottolineatura del travestimento, così come il velo, magnificamente reso da una specie di nuvola nera che scende dalla testa fino alla metà del petto, indica un’ambiguità soffusa quanto penetrante. Il gioco è tutto fra i colori rosso e nero, che da un lato indicano le tonalità chiassose della festa, dall’altro precipitano la persona ritratta in una specie di turbamento progressivo, che fa smarrire anche a noi spettatori le coordinate di tempo e di luogo.
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