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Venere e Marte

Antonio Canova1816

Gypsotheca e Museo Antonio Canova

Gypsotheca e Museo Antonio Canova
Possagno, Italia

È lo stesso Canova, nello scambio epistolare con l’amico Quatremère de Quincy, a rendere noto il fatto che alla fine del mese di ottobre del 1816 l’artista si trovava impegnato nella realizzazione del modello in creta, “grande come il vero qualche cosa di più”, del gruppo di Marte e Venere, commissionato dal futuro re d’Inghilterra Giorgio IV. Dalla forma in argilla furono ricavati due gessi attualmente conservati al Museo di Possagno (Guderzo, in Paolucci 2011), mentre il marmo, portato a termine le 1822, fu consegnato alle collezioni reali inglesi (ora Buckingham Palace), dopo essere stato esposto, con grande risonanza, nella sede della Royal Academy di Londra. “L’emulo di Fidia” – così veniva definito Canova nel noto edito del 1802 che lo nominava ispettore generale delle Antichità e Belle Arti dello Stato Pontificio – aveva ricevuto la richiesta dell’opera direttamente da Giorgio IV a dicembre 1815, quando lo scultore si nera recato nella capitale inglese con lo scopo di visionare i marmi del Partenone, da poco trasferiti in Inghilterra, e soprattutto con il compito di rendere omaggio al principe reggente della nazione che aveva contribuito in maniera determinante alla restituzione dei capolavori artistici requisiti da Roma, a seguito del trattato di Tolentino. All’attività diplomatica degli inglesi – tra i quali va ricordato in particolare il segretario di stato William Hamilton che aveva caldeggiato la restituzione con una lettera indirizzata nel 1815 al re di Francia Luigi XVIII – si era aggiunta la messa a disposizione da parte del governo britannico di denari e mezzi di trasporto per il recupero delle opere. L’esecuzione del gruppo di Marte e Venere, a cui Canova metteva mano proprio nell’anno del rientro delle opere nella capitale pontificia, si poneva dunque come un vero e proprio gesto di ringraziamento, con l’aggiunta peraltro, come dono personale di Canova a Giorgio IV, delle copie in gesso di altre due sue opere: Madama Letizia e la Concordia.
La scelta del soggetto si presta a celebrare la pace finalmente restituita all’Europa intera, all’indomani del congresso di Vienna. Marte è raffigurato tra le braccia di Venere, lo scudo del dio della guerra e la spada deposti ai loro piedi con accanto una cornucopia con frutti e messi a simboleggiare il ritorno della prosperità e dell’abbondanza garantito dalla fine del conflitto bellico. L’invenzione delle due figure nude e teneramente abbracciate riprende, a distanza di una ventina d’anni, la soluzione formale del gruppo giovanile di Adone e Venere trasformata tuttavia, nell’opera in questione, in una mediazione più puntuale sul contrasto tra bellezza maschile e femminile: stante la figura virile, salda nella postura, dalla muscolatura attentamente disegnata; mollemente atteggiato il personaggio femminile dalle carni morbide e dalle gambe avvolte in un panneggio sottile che appare come un pezzo mirabile di sapienza disegnativa e scultorea. Elementi, questi ultimi, che sembrano essere la risposta figurativa di Canova al giudizio espresso di fronte alle statue del Partenone: “queste insomma mostrano chiaramente che i grandi maestri erano veri imitatori della bella natura. Niente avevano di affettato, niente di esagerato né di duro (…). Le opere di Fidia sono vera carne” (Pavanello 2005).
Valter Curzi

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