Anche Marco Tirelli appartiene alla cosiddetta Nuova Scuola Romana. La sua ricerca artistica muove verso una continua rarefazione dell’opera in quanto tale, seguendo giochi geometrici di false prospettive nello spazio e prediligendo colori di sfuggente impatto visivo. Ma all’inizio di questa avventura l’artista, ancora ventenne, venne esposto alla Biennale di Venezia del 1982 con tre quadri, uno dei quali è quello qui rappresentato. Un universo di segni che impattano sulla materia, dimostrando evidenti influssi da parte, ad esempio, di Antoni Tàpies. Qui però le grandi dimensioni dell’opera consentono di visualizzare un conflitto nascente di figure allo stato larvale. Quasi graffiti di una civiltà arcaica, ma esposti alla precarietà del contemporaneo, le forme sospese sopra un deserto o sopra una rupe ci colpiscono per la loro evidente efficacia di simboli di cui si è smarrito il significato profondo.