Il bronzo del “Beethoven fanciullo” consiste nella fusione del gesso in collezione GAM presso la Galleria d’Arte Moderna di Milano. Esiste una notizia di una sua variante già posseduta dalla famiglia Troubetzkoy, e di una sua replica autografa in collezione privata. Una testimonianza di prima mano lo colloca al centro degli scambi amicali tra i protagonisti del movimento della scapigliatura milanese. La scultura è infatti presente nella nota delle opere redatta da Luigi Conconi e Giuseppe Mentessi, inclusa nella biografia di Ferdinando Ferrara (F. Fontana, Giuseppe Grandi. La vita, le opere, Dumolard, Milano 1895, p. 116) scritta a un anno dalla morte dello scultore: lo “stupendo” busto di “Beethoven giovinetto” fu realizzato per Benedetto Junk, fratello minore di Enrico, per cui Grandi “modellò” anche “un amore di caminiera e un Franklin con certe molle e certa paletta, che riuscirono due ninnoli originalissimi” (ibidem, p. 20). Siamo all’interno di quella produzione destinata all’abbellimento delle raffinate dimore borghesi dell’élite culturale lombarda, di imprenditori, intellettuali e artisti, musicisti e letterati, uniti da sodalizio artistico ed esistenziale. Tra le opere nate in tal contesto vanno annoverate le creazioni concepite da Grandi per lo studio dello scrittore e critico d’arte Carlo Borghi: oltre al bronzo del “Maresciallo Ney”, “una squisita pendola con due candelabri”, esposta nella mostra dedicata da Sergio Rebora alla scapigliatura (Il segno della Scapigliatura. Rinnovamento tra Canton Ticino e la Lombardia nel secondo Ottocento, catalogo della mostra [Rancate, Pinacoteca cantonale Giovanni Züst, 15 settembre – 3 dicembre 2006], a cura di M. Agliati Ruggia e S. Rebora, Silvana, Cinisello Balsamo 2006). Lavori questi ultimi di “arte applicata all’industria”, definiti da Fontana “di piccola mole, ma di molto valore per raffinatezza e per gusto squisito”. Secondo la sua testimonianza, il “Beethoven” venne realizzato in uno dei più tristi periodi della vita di Grandi, quando lo scultore versava in gravi difficoltà economiche ed era coinvolto in un processo che lo opponeva a un committente privato, attaccato violentemente dai critici e finanche dai caricaturisti. La commissione di opere da parte di amici lo aiutò a superare quel momento. Siamo dunque al periodo successivo alle polemiche suscitate dall’apparizione di “Kaled”, il “Paggio di Lara”, scultura con cui Grandi inaugurava una ricerca plastica del tutto svincolata dai canonici accademici, sperimentando, rispetto alla statuaria tradizionale, difformità nella posa e nel trattamento delle superfici, ricercando l’intensificazione degli effetti psicologici e dei valori luminosi e chiaroscurali. Fontana rammentava: “l’un per l’altro, il Cremona e il Grandi, rivaleggiavano di rispetto e d’arguzia”. Ed è proprio per Benedetto Junk, nel 1878, che Cremona avrebbe dipinto “L’edera” (Torino, GAM), soggetto che avrebbe impegnato anche Grandi, nel registro scultoreo, in una cosciente emulazione per affermare reciprocamente la preminenza della scultura o della pittura. Anche per il “Beethoven” è possibile istituire un raffronto con il “Ritratto di Benedetto Junk”, dipinto da Cremona nel 1874 (Torino, GAM). Con questo dipinto il “Beethoven” condivide parzialmente l’impostazione della figura, la posa sbilanciata, in spinta dinamica, espressiva della volontà del genio, la mano destra protesa, nel dipinto appoggiata sulla partitura, mentre nel busto è articolata in un gesto nervoso che sembra imitare il movimento del braccio sullo strumento a tastiera, nell’atto di ricercare i suoni. E il modellato della larga camicia aderante sul corpo esile del ragazzo si definisce in risoluti tagli plastici, in increspature con inusitate soluzioni geometriche che gareggiano con il fremito delle pieghe della giacca dell’effigiato di Cremona. Ricordiamo come tra il 1873 e il 1874 a Torino si fossero svolte esecuzioni della Prima, della Quinta e della Settima Sinfonia di Beethoven, queste ultime per la prima volta eseguite in forma integrale. È plausibile che l’interesse per la figura del grande compositore tedesco fosse maturato in un clima più generale riscoperta della sua opera sinfonica. Junk dal 1874 seguiva a Milano i corsi di armonia e contrappunto di Alberto Mazzuccato. Il Dictionary of Music and Musicians, il Grove, nell’appendice alla prima edizione del 1878, lo riconosceva come “uno dei più significativi giovani compositori italiani del nostro tempo”, “per la ricchezza melodica, il sapiente contrappunto e la purezza dell’ispirazione musicale”. Autore dei testi sulla sua opera vocale La Simona, nel 1878, sarebbe stato Ferdinando Fontana, commediografo, librettista, l’autore della biografia di Grandi.