I cittadini protagonisti

"Che senso ha, se tu solo ti salvi? Voglio salvezza per tutta la terra priva d'amore, per tutta la folla umana nel mondo." Questi versi di Vladimir Majakovskij sono il messaggio lanciato dal coro dei Vermi e delle Farfalle nel "Purgatorio" diretto da Marco Martinelli ed Ermanna Montanari; una coproduzione con Matera 2019 che ha visto i cittadini cimentarsi in laboratori teatrali e diventare protagonisti di una grande opera corale. È un vero viaggio attraverso le emozioni quello che hanno affrontato i partecipanti al progetto, un atto d'amore verso se stessi e la città che ha dato vita ad uno spettacolo vibrante, in cui le voci, le urla e i sussurri degli attori avevano tutti il medesimo impatto nell'animo dello spettatore, lasciandolo frastornato e commosso.

"Abitare l'Opera" è stato molto di più di un progetto di arte partecipata. Non solo ha permesso ai cittadini di scoprire la propria voce attraverso laboratori di canto, ma gli ha anche dato la possibilità di usarla, insieme ad altre, nello scenario unico dei Sassi. Per chi conosce la città, non sarà difficile immaginare questo percorso corale come un ritorno nel grembo materno: la sinergia tra attori e coro, la reinterpretazione dei sette peccati capitali in chiave moderna, i costumi e le coreografie hanno prodotto una catarsi collettiva che è arrivata dritta al pubblico spaesato, privato della "protezione" della quarta parete.

Un fiume nero, un canto profondo, il passo lento e ritmato. Un corteo-manifesto quello di Trenodìa, la performance curata da Mariangela e Vinicio Capossela che ha riportato la tradizione del threnos greco nel Sud Italia. Ma una lamentazione collettiva che funzione ha? Ernesto de Martino diceva che il pianto rituale era un modo per "non morire con ciò che muore", perché in effetti il dolore, la sofferenza, fanno parte del regno dei vivi, non certo di quello dei morti; riconnettersi con le nostre vulnerabilità, cantarle ed urlarle insieme ad altri, annullare l'Io attraverso movenze ritmate e la monocromia del nero si trasmuta in un dolore collettivo, condiviso, partecipato, che quindi, non è più debolezza, ma forza rigeneratrice e motore vitale.