"La Storia"
L’arte della cartapesta leccese, fenomeno unico in Puglia, risale ad un periodo tra il XVII e il XVIII secolo, quando con lo sviluppo delle arti legato al moltiplicarsi delle chiese e dei monumenti, gli artigiani leccesi trovarono nell’arte di “plastificare” la carta, la possibilità di realizzare una miriade di lavori sacri, che richiamavano al culto i fedeli quando la Chiesa della Controriforma era impegnata nella sua crociata contro l’eresia luterana.
Questi artigiani non disponevano di materie pregiate, e dovettero così avvalersi di altre materie povere quali paglia, stracci, colla e gesso, e di pochi e modesti attrezzi, ma soprattutto di pazienza certosina, temperamento ed estro.
Il bisogno di inventare nuove forme di avvicinamento dei fedeli alla Chiesa, produsse un vasto campionario di motivi decorativi presi in prestito dalla realtà e adottati dagli scalpellini, illusionisti della pietra, e dai cartapestai, prestigiatori della carta.
A questi si chiedeva di personificare la devozione con statue di Santi, di Cristi e di Madonne, capaci di toccare le corde più intime del fedele. Più del legno la cartapesta si modellava al disegno dell’ideatore e ne interpretava i sentimenti desiderati. La colorazione poi, rendeva la statua viva e quasi reale e l’illusione poteva considerarsi raggiunta.
Furono i barbieri i primi a cimentarsi in quest’attività in cui arte e artigianato si fondono. Questi artigiani adibirono il retrobottega del loro salone a laboratorio, e tra un taglio di capelli e l'altro, riempivano il tempo libero modellando statue di cartapesta.
Il più antico cartapestaio della storia di Lecce fu appunto un barbiere: un certo Mesciu Pietru de li Cristi, così soprannominato per la sua vasta produzione di crocefissi. Da lui imparò l'arte della cartapesta Mastr’Angelo Raffaele De Augustinis, e da questo a sua volta l'apprese Mesciu Luigi Guerra.
Oggi la produzione della cartapesta, che in provincia di Lecce è concentrata esclusivamente nel capoluogo, costituisce senza dubbio il risultato di una lavorazione artigiana assai vicina alla pura espressione d’arte.
In genere, essa ha per oggetto la creazione di statue riproducenti soggetti sacri, anche in grandezza naturale, che richiedono capacità sia tecniche che artistiche: soggetti in posizione statica o dinamica, figurazione realistica, volti con espressioni devote, compunte, di dolore, di gioia, carichi di suggestioni emotive, con il panneggio curato in ogni minimo particolare.
Negli ultimi anni, anche grazie all’avvicinamento a quest’arte da parte dei giovani, la produzione si è indirizzata verso nuovi e vari modelli: natività, bambole, oggetti di arredamento, maschere e giocattoli, senza tuttavia trascurare la tradizione.
Lo splendido barocco leccese delle Chiese, dei Conventi, dei balconi e delle balaustre, e i Crocefissi, le Madonne e i Santi di cartapesta, esprimono un linguaggio unico nel suo genere.
"La Cartapesta"
Visitare un laboratorio di cartapesta è come leggere un racconto insolito e fantasioso di un materiale umile che diventa, a mano a mano, sempre più prezioso ed unico.
Si può dire che una statua nasca dal niente oppure che sia l’espressione di un’idea. Tutto comincia da un fascio di paglia del tipo ricciolina, modellata per mezzo di giri di spago, che dà la forma grezza ad un’anima di ferro filato.
Mani, piedi e testa vengono realizzati a parte con la creta. Il cartapestaio oltre a saper lavorare la carta, deve essere un bravo scultore e saper preparare i calchi, secondo determinate iconografie, che raramente subiscono cambiamenti, come quelle riferite a santi e a madonne. I calchi spesso si tramandano di generazione in generazione.
Successivamente si veste la figura con vari fogli di carta, incollati strato su strato con colla di farina, a cui si aggiunge un pizzico di solfato di rame per respingere i tarli.
I vecchi maestri alla farina aggiungevano l’allume, efficace contro la muffa. L’adesivo così preparato si chiamava ponnula.
L’essiccazione all’aria o al sole conclude la prima fase della lavorazione. Naturalmente bisogna tenere conto dei “segreti del mestiere”, che difficilmente gli artigiani lasciano trapelare.
La preparazione stessa della colla, apparentemente eseguita soltanto con acqua e farina, deve prevedere qualche “aggiunta” misteriosa, dal momento che quando bolle sprigiona un inspiegabile odore di cedro e incenso.
I vecchi maestri cartapestai dicono che la fuocheggiatura sia il segreto della cartapesta, questa fase è la modellatura della statua mediante piccoli cucchiai arroventati che servono per fissare le movenze o le pieghe che hanno subìto le imperfezioni nell’asciugarsi, e per consolidare la struttura della statua.
Si può eseguire sulla carta appena asciugata, oppure sulla carta su cui si è spennellato uno strato di “colla perla”, un’altra sostanza indurente che facilita il lavoro, e che si trasforma in un velo giallo-rossastro, capace di arricchire le tonalità della carta stessa. La statua si può anche lasciare così: soltanto fuocheggiata.
Segue l'ingessatura, un procedimento che richiede molta esperienza e l’uso del materiale più adatto. Per esempio si preferisce ingessare con il “gesso di Bologna”, poco poroso e poco assorbente, ottimo come fondo base per i colori e la doratura.
Infine vengono eseguiti stuccatura, levigatura, colorazione e decorazione dei particolari. I colori sono ad olio, ma c’è chi prepara da sé le cosiddette “terre” (d’ambra, di Siena, cinabro), secondo procedimenti antichi e noti soltanto agli addetti ai lavori.
Curator—Camera di Commercio di Lecce