Tap to explore
::: Testo a cura di Antonella Di Lullo :::
Here, now, titolo della sesta edizione del festival Outdoor, pone al centro della riflessione il tempo e lo spazio come dimensioni ultime sulle quali si struttura la nostra esperienza.
Qui e ora, un luogo e un tempo stabilito. Un momento unico, non replicabile, che racchiude in sé i diversi piani temporali: il passato della caserma, il presente della creazione artistica e la futura rigenerazione dello spazio; un luogo che non è un semplice contenitore ma vero e proprio contenuto.
Tap to explore
Le ex caserme SMMEP (Stabilimento Militare Materiale Elettronico di Precisione) di via Guido Reni, dismesse nei primi anni Novanta, diventano lo strumento attraverso il quale il festival mette in movimento diversi processi esperienziali: l’atto di trasformazione dello
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In questa collezione presentiamo i video, realizzati da Jacopo Pergameno, di alcune delle opere che compongono la sesta edizione di Outdoor.
Le immagini sono accompagnate dalle sonorizzazioni create site specific, con la volontà di creare un'unica opera nella quale si fondessero spazi, installazioni e musica.
:: LUCAMALEONTE: 1979-1982. Testo a cura di Antonella Di Lullo :::
Un ricordo del tutto personale che riaffiora e che l’artista decide di rendere pubblico.
Un lavoro insolito per Lucamaleonte che indaga il suo passato. Un passato che coincide con quello dell’edificio che lo ospita. Proprio nel confine tra la dimensione pubblica e quella privata si sviluppa il suo intervento artistico.
Lo spazio dell’ex caserma è uno spazio che conosce bene, un luogo della sua memoria: il nonno infatti per molti anni ne è stato il direttore. Per questo motivo l’artista romano ha deciso di rievocare il momento dell’insediamento e del saluto di suo nonno attraverso il discorso di benvenuto e di addio interpretati da suo padre.
La fotografia che domina la sala del discorso, ci riporta a quel giorno e ci dona la stessa visuale del nonno dal palco, con i colleghi e inferiori di rango in platea. Nella stanza accanto un trittico rivela la figura del nonno in abiti da generale ma con il volto nascosto dall’esaedro, segno di riconoscimento dell’artista. La sua figura affiora progressivamente dal muro. Mentre la prima è appena abbozzata, come uno spettro, l’ultima diventa perfettamente definita. Questo riaffiorare dai muri della caserma della figura di suo nonno rappresenta il tempo trascorso, rappresenta il ricordo di suo nonno e la memoria personale che lo lega a questi luoghi.
::: GRAPHIC SURGERY: Intrusive Structure IV. Testo a cura di Antonella Di Lullo :::
L’installazione del duo olandese è la quarta di una serie di lavori incentrati sulla compenetrazione di strutture reticolari all’interno di spazi architettonici. La loro ricerca è molto influenzata dalle forme geometriche minimali presenti negli ambienti industriali, come le travature dei capannoni e delle gru. Quest’ultimo in particolare è uno strumento verso il quale sono molto legati, un dispositivo puramente funzionale che è sempre presente all’interno del paesaggio urbano ma che spesso viene ignorato o genera fastidio. La gru rappresenta per i Graphic Surgery il simbolo del cambiamento della città, uno strumento di rinnovamento o di distruzione di un ambiente in continuo movimento.
Il loro lavoro qui ad Outdoor si concentra sulla riconfigurazione dell’ambiente dell’ex-Caserma innestando un traliccio nero che attraversa trasversalmente le tre stanze producendo altrettante sezioni dell’opera, ognuna delle quali è indipendente allo stesso tempo parte integrante della figura. La struttura composta da assi di legno ricorda le travi che compongono l’ossatura dell’edificio osservabili a fianco nei grossi capannoni e da cui i Graphic Surgery hanno tratto ispirazione. Come un cristallo di forma pura incastonato nella roccia la loro installazione trasforma le stanze che attraversa e crea nuove prospettive spaziali.
::: NO IDEA: Società Liquida. Testo a cura di Antonella Di Lullo :::
L’intervento dei No Idea vuole essere una rappresentazione visiva della crisi postmoderna del mondo occidentale. La caduta delle certezze, il crollo dell’universo valoriale che ha guidato per secoli la rappresentazione di senso e che è stata messa in discussione dai fenomeni sociali e culturali e dagli eventi contemporanei.
Un mare fluttuante simbolo della coscienza dell’uomo fa da sfondo a questa installazione del collettivo; sembra soltanto a prima vista rassicurarci rivelandosi successivamente come scenario tragico. Una luce volumetrica ci rivela improvvisamente la presenza di tre sagome simbolo di un evento che attraverso la sua drammaticità ci ha portato ad esperire la morte nel suo valore indomabile e angosciante. Un evento autentico, di rottura, imprevedibile che ha riconfigurato le fondamenta sulle quali si poggiava il mondo.
::: ALEXANDROS VASMOULAKIS: Relics. Testo a cura di Antonella Di Lullo :::
Gli oggetti rinvenuti in un luogo abbandonato riacquistano una nuova vita attraverso l’arte di Alexandros Vasmoulakis. Il suo lavoro per Outdoor Festival è composto da una serie di installazioni create con oggetti e materiale rinvenuti durante le sue perlustrazioni dentro gli spazi abbandonati dell’ex caserma.
La scoperta e il ritrovamento di questi oggetti ha portato l’artista greco a concentrarsi su di essi come espressione esaustiva e perfetta del concetto guida del festival Here, now . Un’installazione diffusa, composta da diverse sculture che interagiscono con la mostra Objets trouvés dedicata all’intero materiale rinvenuto nei mesi di allestimento.
::: TINHO: And then comes the silence.. Testo a cur di Antonella Di Lullo :::
L’opera di Walter Nomura aka Tinho cerca di stabilire con il visitatore un dialogo confidenziale e ci riporta ad una dimensione intima, quella dell’infanzia. Attraverso le suggestioni che i suoi disegni e gli enormi pupazzi evocano, ci trasmette l’inquietudine generata dalla vita contemporanea, la profonda alienazione e l’individualismo che contraddistinguono la vita negli spazi urbani celate dalla frenesia del nostro agire quotidiano. I suoi peluche, simbolo di innocenza e leggerezza perduta, ci inducono attraverso questa implicita denuncia ad una riflessione sul fine del nostro agire. La sua opera in primis è frutto di una scelta etica e morale: in un epoca in cui il calcolo economico genera fenomeni distruttivi per il nostro pianeta, come lo spreco delle risorse e la generazione di smisurate quantità di rifiuti, i suoi pupazzi sono creati utilizzando materiale di scarto tessile e vestiti riciclati. I libri rinvenuti nella caserma cospargono il pavimento e diventano il terreno sul quale siamo chiamati a camminare. Una raffigurazione in chiave simbolica di come la conoscenza e la cultura vengano assoggettate ogni giorno dal potere economico.
::: INSA: Facing Immortality. Testo a cura di Antonella Di Lullo :::
Il flusso caleidoscopico di immagini GIF animate da Insa ha un potere ipnotizzante sullo spettatore. Sono capaci con il loro movimento ciclico, la loro profondità e i loro colori sgargianti a farci indugiare e a immobilizzarci come sotto l’effetto di un potente analgesico.
La visione dall’alto dà profondità prospettica all’opera e ci costringe ad una ascesa per osservare l’enorme vortice che domina la stanza e che sembra attraverso il suo movimento inabissarsi verso il nulla. Sopra di esso si staglia sulla parete un teschio, il quale, irriverente e sardonico, ruota in un movimento senza fine. Entrambe le figure sono state realizzate attraverso 8 livelli stratificati di intervento per formare le immagini GIF che contraddistinguono da sempre il suo lavoro.
Con Facing Immortality l’artista inglese ha voluto riflettere sul concetto di immortalità relazionato ai fenomeni presenti in rete in contrapposizione alla vita reale. I due oggetti rappresentati hanno entrambi un duplice significato simbolico. Il teschio rotante è insieme allegoria della morte e attraverso il suo movimento in loop simbolo dell’immortalità di tutto ciò che è contenuto su internet. Il vortice che nelle tradizioni arcaiche è il simbolo della vita e dell’evoluzione allo stesso tempo vuole ammonirci con il suo movimento sulla caducità della vita. L’intera opera vuole essere una rivisitazione in chiave contemporanea e irrisoria della vanitas umana. Una giocosa e farsesca rappresentazione della condizione effimera della nostra esistenza, tematica cara alla pittura del seicento. Condizione che illusoriamente scordiamo quando sprofondiamo nell’infinito presente creato dalla rete.
::: MARTIN WHATSON: Never ending story. Testo a cura di Antonella Di Lullo :::
Stencil e bomboletta. Queste le due modalità di intervento utilizzate dall’artista norvegese per realizzare l’opera qui ad Outdoor. L’una precisa e meccanica, l’altra impulsiva e caotica. La stanza di dimensioni ridotte rispetto alle restanti, facilita lo spettatore a compiere un rapido sguardo panoramico innescando il senso ritmico e dinamico dell’opera. Le due figure si rincorrono senza soluzione di continuità, una intenta a disegnare, l’altra a coprirne le tracce con della vernice bianca. Non ci è dato sapere chi ha iniziato e chi concluderà; i due gesti in antitesi tra loro corrispondono ai due momenti nei quali si dispiega la temporalità effimera dell’arte urbana e la ciclicità delle dinamiche che avvengono sui muri nei contesti urbani. Una lotta tra due forze contrarie sulle quali però l’artista sospende il giudizio limitandosi a descriverne il suo svolgimento semplicemente come il gioco necessario tra opposti.
::: TILT: Indoor Outdoor.. Testo a cura di Antonella Di Lullo :::
Sono diversi i piani di lettura attraverso i quali è possibile interpretare l’opera di Tilt. Quello che risulta essere al centro dell’indagine dell’artista francese è senz’ombra di dubbio la natura primordiale del gesto artistico del graffito. La sua ricerca artistica è da sempre focalizzata su questo tema: lasciare una traccia, il proprio nome, in numerose parti del mondo e sulle superfici più disparate. I throw - up spesso vissuti come mera imbrattatura vengono da Tilt provocatoriamente decontestualizzati, estrapolati e inseriti in contesti inconsueti dove acquistano una bellezza nuova, spiazzante e disorientante. In questa ricollocazione le tag risultano concettualmente ed esteticamente legittimati, creando così un cortocircuito con il pregiudizio negativo a loro associato.
All’interno delle ex caserme la sua ricerca si spinge oltre: non è in atto una mera decontestualizzazione ma una rimodulazione delle superfici destinate a queste azioni. Le grandi finestre diventano così le superfici su cui l’artista interviene. I numerosi throw-up colorati sulle finestre rievocano le grandi vetrate delle chiese gotiche e ci conducono in una dimensione sacrale. Il riverbero della luce sulle pareti e sul pavimento e la parete principale con i profili in negativo delle finestre ci inducono al rispetto e alla contemplazione.
La grande parete dipinta è contrapposta ad un’esposizione di fotografie raffiguranti i finestrini della metro di Roma e di altre città del mondo e la firma dell’artista; lo spettatore è costretto ad attraversare per intero il padiglione così da indagare lo spazio intero.
::: HALO HALO: La stanza blu. Testo a cura di Antonella Di Lullo :::
Un groviglio confuso e caotico di figure pop. Una libera rappresentazione di immagini così come compaiono nella mente prima che la logica possa avere voce in capitolo. Queste sono da sempre le caratteristiche che contraddistinguono il lavoro di Halo Halo. La stanza è stata completamente riempita, le coordinate spaziali e i riferimenti architettonici perdono di significato e vengono sostituiti da nuove direttrici di senso generate dai flussi di coscienza onirici partoriti dall’immaginazione dell’artista torinese.
In quest’opera troviamo ingranaggi meccanici che rievocano l’attività passata dello spazio, un piccolo autoritratto dell’artista, elementi architettonici classicheggianti e particolari di cicale che con il loro frinire hanno accompagnato il suo lavoro qui all’ex Caserma Guido Reni.
Immagini evocate dal contesto in cui l’artista si è trovato a lavorare e che ci invitano ad una immersione totale dentro a questo suo oceano blu saturo di suggestioni.
::: TOMMASO GARAVINI. Testo a cura di Jessica Stewart :::
Scenografia, arredamento, e arte si fondono in questo mondo creato da Tommaso Garavini. Nella combinazione delle sue abilità, siamo subito trasportati nell’ambiente intimo di una stanza che favorisce la contemplazione tra il celeste, il terrestre, e l’abisso. Scienza e natura si fondono in questo "Cenacolo" di Garavini, passando dal tronco bruciato e scultorio, che rappresenta le nostre peggiori abitudini terrene, alle alte nuvole divine fatte di elementi naturali e di ferro. È in questo regno divino che contempliamo l'unione di forme naturali a cascata unite agli spigoli di una "nuvola" costruita dall’uomo. Nel tentativo di imitare il caos della natura, Garavini si lascia andare al ritmo del mezzo stesso, in una sfida a riprodurre il caos "perfetto" che troviamo nell’ambiente naturale. Chi siede a questo tavolo con i simbolici piatti? I numeri hanno un ruolo importante nella stanza. Per esempio, il tredici, che rappresenta sia l'amore eterno e la pulizia spirituale sia la sfortuna, a seconda della prospettiva. Ritorna nei legami col rapporto tra nube, tavolo, e scultura in legno. Se nuvola e scultura sono in rapporto di 1: 1,3 in relazione al tavolo, i significati opposti di questo numero si ricollegano alla spinta contrapposta tra l'inferno e il sublime. Nell’apprezzare i diversi ordini di grandezza, e nel rapportarci ad essi, possiamo muoverci tra questi livelli, per ottenere un'armonia che si puo’ trovare solo nel mondo naturale.
::: UNO: All in. Testo a cura di Jessica Stewart :::
l mondo di UNO è una danza delicata di colore, proporzione e disegno spinto quasi al limite dell'eccesso. Il punto focale è la parete immediatamente di fronte a noi, un tour de force del disegno, fantasia, e colore caratteristici che hanno segnato gli ultimi anni della produzione artistica di UNO. Attingendo a una vasta gamma di tecniche, dal collage allo stencil, dai poster allo spray a mano libera, UNO abbraccia completamente l'ambiente presentato. A prima vista caotico, eppure sottilmente equilibrato e armonico, lo spazio e’ accentuato dal rombo, il fulcro geometrico della stanza. All'interno di queste forme, i motivi prevalentemente in bianco e nero variano da raffigurazioni sottili del volto del volto Kinder a gocce di pioggia, che richiamano la funzione della stanza, con il suo lavandino nascosto in un angolo. Il concetto di acqua è onnipresente e da’ vita alla colonna sonora del luogo, in cui il lavandino si è trasformato in una vetrina tridimensionale. L'effetto calmante dell’acqua in uno spazio così dinamico viene ripreso dalla scelta (e dalla non-scelta) della gamma cromatica. Gradienti fluorescenti esplodono attorno agli elementi in bianco e nero, e nei sottili riflessi dorati delle campiture, che sono il tocco finale a quello che è uno sguardo a 360 gradi nella pratica artistica di UNO.
::: ALICE PASQUINI: Belive it or not. Testo a cura di Jessica Stewart :::
Believe It Or Not' [Credici o meno]: con queste parole, Alice Pasquini conduce lo spettatore alla scoperta di uno spazio che raffigura un lato significativo e inaspettato del suo lavoro. Uno spazio dove le illusioni accadono su più livelli. Tra colori tenui che emergono tra l'apparente bianco e nero e strati di figure e frasi che sembrano scomparire e materializzarsi sulle pareti, Alice ci trascina in un mondo di personaggi surreali. Questi personaggi, che vivono la loro vita tra magia e illusione, ci trasportano al tempo dell'infanzia, quando trucchi e giochi erano percepiti come una fantastica realtà, non ancora contaminata dal cinismo dell'età adulta. Credere o non credere? In questa stanza ci viene chiesto di abbassare la guardia e immergerci nel mondo oscuro di Alice. Solo in questo spazio chiuso l'artista può rivelare un nuovo aspetto del suo lavoro, ossia quello che si fonda sulla costruzione di misteri e apparizioni che sembrano dilagare su ogni superficie disponibile. È la dualità dell'artista ad essere in mostra, svincolata dai confini dell'arte pubblica. Allontanandosi dai colori vivaci che caratterizzano il suo lavoro pubblico, la collocazione in un ambiente chiuso facilita l'apparizione di personaggi marginali inondati di nero, e, non senza una nota nostalgica, reclama un ritorno alla nostra gioventù, quando fantasia e illusione ci facevano credere che tutto era possibile. –
Director – Francesco Dobrovich
Art Curator – Antonella Di Lullo
Visual Artists Assistant – Marine Leriche
Pubblic Relation and Secretary – Caterina Francesca Giordano
Executive Director – Alessandro Omodeo
Interior Designer – Omar El Asry
Stage Manager – Alfredo Sebastiano
Production Assistant – Lorenzo Rolli
Production Assistant – Leonardo Dragovic
Production Assistant – Alessandro Proietti
Google Content Manager - Livia Banci
Creative Direction – Francesco Barbieri
Press Office Manager – Antonella Bartoli
Press Office Assistant – Patricia Calvo Garrido
Photografers – Alberto Blasetti and Alessio Mose
Video Maker: Jacopo Pergameno