Il Quarto Stato alla Galleria d’Arte di Lino Pesaro, Milano (Maggio 1920)Museo del Novecento
Nel 2020 il Museo del Novecento celebra i 100 anni dell’acquisto di un’opera iconica per la città, il Quarto Stato di Giuseppe Pellizza da Volpedo oggi esposto in uno spazio dedicato, progettato da Italo Rota & Partner, che apre il percorso di visita del museo. Precoce esempio di crowdfunding civico, il grande dipinto ha una storia da raccontare che attraversa le passioni e gli ideali dell’epoca, le correnti e gli stili artistici del Novecento e il privato dell’autore.
Il Quarto Stato approda a Milano nel maggio del 1920 alla Galleria d’Arte di Lino Pesaro, in via Manzoni, dove è allestita una mostra monografica dedicata a Pellizza da Volpedo e curata da Ugo Ojetti, critico del Corriere della Sera. È l’uscita dall’oblio di un’opera destinata all’Esposizione Universale di Torino del 1902 ma che non fu acquistata dalla famiglia reale per il tema di forte impatto sociale. L’esposizione nella Milano del Sindaco socialista Emilio Caldara, ha grande successo di pubblico e critica con l’auspicio della Direzione dei musei civici del suo acquisto.
The Fourth Estate (1868/1902) by Giuseppe Pellizza da VolpedoMuseo del Novecento
Il dipinto
Giuseppe Pellizza dipinse il Quarto Stato tra 1898 e 1901; l’opera era il frutto di un lungo percorso creativo ispirato alla protesta di un gruppo di lavoratori, per cui fece posare contadini e artigiani scelti fra i suoi compaesani volpedesi. Il percorso era iniziato nel 1891-1892 con gli studi per Ambasciatori della fame e proseguito nel 1895-1896 con Fiumana (metri 2,77 x 4,50, Milano Pinacoteca di Brera).
Se un realismo accentuato dalla tersità dei colori caratterizzava Ambasciatori della fame, Fiumana si segnalava per un più colto simbolismo, evidenziato dalla scelta di colori più saturi e contrastanti stesi con una tecnica divisionista, basata su teorie “scientifiche”, e da forme in cui era riconoscibile un’ampia cultura figurativa estesa alla pittura del Quattrocento fiorentino.
alle loro spalle, dopo uno stacco luminoso, avanza un gruppo di uomini e donne provenienti dalla Via del Torraglio. Questa massa di persone, premente verso il primo piano, si trasformò in una composizione più articolata in Quarto Stato.
Fin dal 1891 Pellizza scelse di collocare la sua manifestazione di protesta in Piazza Malaspina a Volpedo, articolando il gruppo di lavoratori in due nuclei: in primo piano aveva posto due uomini di età diversa, affiancati dapprima da un ragazzo e poi da una donna col bimbo in braccio;
I protagonisti
Nel dipinto ai due uomini e alla donna col bambino in braccio del primo piano si accompagna una schiera compatta di uomini e donne disposti su diverse file e concatenati in tre grandi gruppi, con due figure “quinta” a chiudere ai lati. Il movimento ritmico dei piedi, evidenziato dalle ombre, e la gestualità concatenata delle mani, che sottolinea il dialogo che intercorre fra loro, contestano la fissità e la frontalità della rappresentazione: i lavoratori avanzano in un moto lento e cadenzato verso lo spettatore, chiamato così a sentirsi parte se non controparte.
La costruzione delle figure documenta il lungo studio compiuto da Pellizza sull’arte rinascimentale (da Raffaello a Leonardo a Michelangelo). Un divisionismo sapiente costruisce figure e paesaggio in una stesura di piccoli tocchi, lineette e lunghi filamenti, stesi su una base di terre di diverse cromie, selezionate in vista del risultato complessivo, seguendo i criteri della complementarità e del contrasto.
La fitta tessitura cromatica si ricompone nell’occhio dell’osservatore in un’armoniosa, diffusa luminosità; dallo sfondo, costituito da macchie di vegetazione su un cielo al tramonto, si passa al primo piano illuminato da una calda luce solare.
La rinuncia a raffigurare nello sfondo gli edifici e la pieve, suggerisce l’interpretazione simbolica del quadro: non semplice descrizione di un evento ma rappresentazione del cammino che i lavoratori, uniti e coesi in una protesta determinata e pacifica, possono compiere dirigendosi verso un luminoso futuro; in questa impostazione Pellizza s’avvicinava al socialismo progressista di fine Ottocento.
La tela fu esposta nel 1902 alla Quadriennale di Torino; come simbolo della dignità del lavoro ebbe una progressiva fortuna presso le associazioni operaie e le Camere del lavoro; nel 1920 con sottoscrizione pubblica fu acquistata dal Comune di Milano. Nel secondo dopoguerra la sua immagina ha accompagnato gli sviluppi e le trasformazioni della società italiana.
Immagini e documenti a testimonianza della sottoscrizione civica che ha permesso l’acquisto del capolavoro di Giuseppe Pellizza da Volpedo nel 1920Museo del Novecento
La sottoscrizione
La Galleria d’Arte di Lino Pesaro, inaugura nel febbraio del 1920 negli spazi espositivi in via Manzoni, un’importante mostra monografica dedicata a Giuseppe Pellizza da Volpedo. Un’esposizione che oltre ad essere un omaggio al grande artista e un aiuto per gli eredi del pittore, morto suicida nel 1907, voleva essere un invito a trovare una collocazione al grandissimo quadro che fino allora campeggiava nello studio dell’artista nella città natale di Volpedo. Infatti, il dipinto destinato all’Esposizione Universale di Torino del 1902 non fu acquistato in quell’occasione dalla famiglia reale per il suo forte soggetto sociale e il quadro entrò nell’oblio, fino agli anni delle lotte operaie e contadine, poi definiti il “Biennio rosso”. Si pensò prima a una destinazione genovese ma le trattative con il Municipio di Sampierdarena fallirono.
Ritratto di Giuseppe Pellizza da VolpedoMuseo del Novecento
Da lì la mostra a Milano guidata dal socialista Emilio Caldara. L’esposizione riscosse un grande successo di pubblico e critica; molto opere furono vendute ad eccezione del “Quarto Stato”. La Direzione dei musei civici auspicava in un acquisto pubblico e tra gli addetti ai lavori, con il forte sostegno di attori importanti della vita culturale milanese, tra cui Ugo Ojetti e Margherita Sarfatti, iniziò a farsi strada l’idea di una pubblica sottoscrizione per l’acquisto del dipinto da destinare alle raccolte pubbliche. La sottoscrizione venne significativamente sostenuta dalle pagine del Corriere della sera che, a più riprese tra aprile e maggio, pubblicò l’annuncio della ricerca di finanziamenti e seguì la vicenda con una serie di articoli a firma dei suoi maggiori critici. Grazie a questo pubblico supporto l’opera entrò nelle Civiche raccolte il 20 maggio 1920.