Monica Carocci, oltre il visibile

Uno sguardo verso l'estetica del territorio

RAI 4 (1997) di Monica CarocciLa Galleria Nazionale

Sperimentazione tecnica

Fotografa, nata a Roma nel 1966, torinese d’adozione. La ricerca artistica di Monica Carocci si proietta oltre gli orizzonti dell’elemento visibile. Paesaggi stranianti dove la realtà temporale sembra lasciare il posto a atmosfere sfumate e sospensive.

La fotografia per Carocci è un mezzo di sperimentazione. L’immagine iniziale della realtà è solo un punto di partenza per successive manipolazioni pittoriche, graffi, abrasioni e strappi fino ad ottenere l’impressione emozionale desiderata.

Contro l'omologazione dell'immagine

Il soggetto ritratto subisce quindi una sorta di metamorfosi generata dal processo di astrazione mentale dell’artista che vuole allontanarsi da un settore tecnologico, quello dell’immagine, abusato dalle infinite riproduzioni rilanciate dai media, social network e messaggi pubblicitari.

Bianco e nero

Adottando una scelta rigorosa del bianco e nero, abilmente orchestrato sul gioco delle variazioni chiaroscurali, gli scatti di Monica Carocci mirano a concentrare l’attenzione sull’essenzialità del messaggio esteriore scartando i dettagli che corredano abitualmente il complesso dell’inquadratura.

L’abrasione dei contorni cancella una parte di particolari ritenuti superflui, l’immissione calibrata di sfumature ingloba errori di sovrapposizione. Irregolarità che compongono un mosaico di tasselli accuratamente cesellati che conferiscono all’insieme un valore di decisa autodeterminazione espressiva.

Superfici sfumate

L’effetto di atemporalità emerge e in camera oscura, attraverso reiterate procedure di sviluppo su un particolare supporto di carta baritata che l’artista utilizza per la stampa.

Una carta che mantenendo lo stesso aspetto di una stampa ai sali d’argento, amplifica il potenziale espressivo dell’immagine: consente di ottenere neri profondi, esaltare le tonalità neutre, valorizzare le sfumature della foto, donando al contempo una granulosità e ruvidezza che toglie nitidezza ai contorni contribuendo a creare quelle caratteristiche atmosfere sospese.

“Mi sono ritrovata nei non-luoghi attraverso la mia ricerca: sono venuti loro da me.”

Habitat

Nel contesto torinese in cui si è formata tra gli anni Ottanta e Novanta, Monica Carocci, influenzata dall’opera di Luigi Ghirri, si distingue nell’indirizzare lo sguardo verso l’estetica del territorio, mettendo da parte la fotografia patinata e impeccabile del modello di quegli anni.

La funzione problematica attribuita all’habitat paesaggistico emerge nei molteplici scatti di Carocci dedicati ai contesti suburbani e periferici con gli scorci solitari di autostrade o le teorie di lampioni sulle bretelle di collegamento viario, che unitamente alle campagne aperte sui sentieri alberati o alle raffigurazioni di monumenti cittadini attestano la desertificazione della presenza umana assumendo connotazioni anonime e impersonali.

Smaterializzazione

Guardare il mondo attraverso le opere di Monica Carocci presagisce il riappropriarsi di una facoltà nell’osservazione tesa a rifuggire letture lineari della realtà visuale. La smaterializzazione delle immagini fa emergere il tema della mediazione percettiva e del sentimento introspettivo, che rende l’opera uno specchio della coscienza soggettiva.

Ringraziamenti: tutti i partner multimediali
In alcuni casi, la storia potrebbe essere stata realizzata da una terza parte indipendente; pertanto, potrebbe non sempre rappresentare la politica delle istituzioni (elencate di seguito) che hanno fornito i contenuti.
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