Affresco con Gentil Virginio Orsini (1491) di Antoniazzo RomanoCastello Odescalchi
Il 1 gennaio 1490 il pittore Antonio Aquili, detto Antoniazzo Romano, scriveva a
Gentil Virginio Orsini di essere pronto per andare con la sua “turba di lavoranti” a
Bracciano, ma aggiungeva anche che sarebbe stato meglio aspettare la primavera per
la riuscita dell’affresco. Il dipinto lungo 11 metri oggi per motivi di conservazione in
una sala del castello, era in origine parzialmente esposto agli agenti atmosferici sotto
il monumentale arco di accesso alla corte d’onore.
Il committente aveva necessità di completare il suo self-fashioning attraverso la rappresentazione di due eventi che avevano segnato la sua vita politica: a destra l’incontro con Piero de Medici nel 1487;
a sinistra la cavalcata attraverso il territorio di Bracciano nel 1489 a seguito della nomina a capitano delle truppe aragonesi.
La scena di destra mostra il giovane Piero de Medici in atto di inchinarsi davanti al signore di casa Orsini. Durante il suo viaggio a Roma per il matrimonio di sua sorella Maddalena, il rampollo di casa Medici (nipote di Gentil Virginio poiché figlio di sua cugina Clarice e Lorenzo il Magnifico), si recò a Bracciano per ragioni diplomatiche.
Il pittore ha rappresentato le due corti attraverso i rituali dei codici rinascimentali con i preziosi costumi dell’occasione. Dalla parte di Gentil Virginio, oltre a un paggio moresco con le calze bicolore, appaiono un cardinale in rosso identificabile con Giovan Battista Orsini, e probabilmente in azzurro Gian Giordano, il primogenito del committente. La corte medicea è a dir poco sfarzosa con eleganti farsetti, colorati cappelli e preziose piume. Come suggerisce Anna Cavallaro, la maggiore esperta di Antoniazzo Romano, Piero veniva detto il Fatuo anche per la sua ostentazione del lusso e della ricchezza.
L’architettura classica con busti, rilievi e un fregio con grifoni e grottesche che ricorda il Tempio di Antonino e Faustina nel Foro Romano, testimonia l’esigenza del committente di mostrarsi in un contesto all’antica. Attraverso la guerra, la diplomazia, i matrimoni e la cultura gli Orsini avevano stabilito contatti con le maggiori famiglie italiane.
La scena di sinistra, aperta in un paesaggio collinare intorno ad un lago circondato da torri, mostra Gentil Virginio in trionfo. Si tratta di un paesaggio evocativo del territorio di Bracciano, ma lo “stato” degli Orsini nel 1490 si estendeva da Cerveteri sul Tirreno fino al Lago del Fucino quasi a lambire l’Adriatico. Tra la Tuscia e la Marsica, la sequenza dei possedimenti degli Orsini rappresentava il potere strategico di una famiglia che controllava quasi ogni strada consolare verso Roma e fin dentro il Regno di Napoli. Gentil Virginio in armatura su un cavallo bianco impugna il bastone del comando aragonese. La collana d’oro è il simbolo dell’appartenenza all’ordine dell’ermellino. Gli orsi dorati sui paramenti cavallereschi ne fanno un Orsini di
Bracciano in guisa imperiale.
Il gruppo di cavalieri che segue il protagonista sono stati identificati da Anna Cavallaro. Il condottiero Bartolomeo d’Alviano (genero di Gentil Virginio) su un cavallo bianco con le zampe alzate e al centro di nuovo Gian Giordano su un cavallo marrone. La figura con la corona di alloro potrebbe essere un rappresentante di quella
cultura umanistica che la famiglia Orsini aveva preso come modello per la costruzione della propria identità famigliare. Come lo stato degli Orsini si estendeva tra Roma e Napoli, questa cultura si divideva tra lo studium urbis romano di Pomponio Leto e l’accademia napoletana di Giovanni Pontano. Si può vedere un
libro a terra sotto le zampe del cavallo marrone e una serie di iscrizioni in latino sulle armature. Su quella dell’Alviano appare “la virtù fa….” un motto che implicherebbe l’esercizio della virtù anche in guerra; mentre quella di Gian Giordano (Laudare parum est laudem[ur]) proviene dal mito di Aracne dalle “Metamorfosi” di Ovidio.
Un’immagine questa che rappresenta quella cultura quattrocentesca che fondeva arma et litterae.
Se la scena di destra si svolge come un evento contro una quinta trionfale disegnata in prospettiva evocando le più alte invenzioni della pittura rinascimentale, la scena di sinistra risente dell’influenza del gotico internazionale. I personaggi sembrano infiniti nella formazione di squadre militari che avanzano secondo una narrativa che si muove intorno alle curve del paesaggio.
I dettagli sono minuziosi: i trombettieri che dirigono la processione militare, le bandiere con le rose degli Orsini, i paramenti dei cavalli, la tipologia delle armature, le navi attraccate sulle rive e perfino una scimmia seduta su un mulo. Come afferma la Cavallaro sono dettagli tipici di una cronaca figurata, descritta verbalmente da Stefano Infessura, il maggiore cronista dell’epoca, e mostrata ancora più in dettaglio dalla pittura di Antoniazzo Romano.